Si sono riuniti per spiegare le ragioni della protesta contro la legge Del Rio sui municipi al di sotto dei 5.000 abitanti

NAPOLI – C’erano 324 sindaci provenienti da tutta Italia stamane a Napoli all’adunanza dei “sindaci ribelli” convocata dall’Asmel, l’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali, che raggruppa oltre 2200 Comuni in tutt’Italia. Sono sul piede di guerra contro l’accorpamento coatto dei Comuni al di sotto dei 5mila abitanti, previsto, nella sua ultima versione, della legge Delrio.

Dal sindaco trevigiano di Portobuffolè al sindaco agrigentino di Alessandria della Rocca, dal sindaco piemontese di Marsaglia al sindaco sardo di Perdaxius, dal sindaco abruzzese di Perano al sindaco emiliano di Berceto, c’era l’intero stivale, isole comprese, stamane nell’auditorium del Consiglio regionale della Campania a far sentire le ragioni dei 5700 comuni italiani con meno di 5mila abitanti che rischiano di perdere l’autonomia delle principali funzioni amministrative a partire dal 1 Gennaio 2016. Una protesta colorata dalle fasce tricolori con cui ogni sindaco si è presentato a Napoli e “misurata” anche dalla mole di norme del codice degli appalti (esibita in due enormi carrelli con trenta scatoloni al centro della sala) a dimostrazione delle mille difficoltà burocratiche con cui si confrontano ogni giorno i sindaci. Eppure i “piccoli” sono i più virtuosi nella spesa. Questo il coro unanime dell’adunanza napoletana suffragato dai dati di spesa elencati dal presidente di Asmel, Francesco Pinto, e dal presidente dell’Ancpi, Franca Biglio. Dati di spesa che sono alla base del ricorso amministrativo dei piccoli comuni che, dopo la dichiarazione di incompetenza del Tar Campania, sarà ripresentato nei prossimi giorni al Tar del Lazio con un numero molto più nutrito di ricorrenti. Rispetto agli iniziali 5 comuni campani ad oggi sono già 150 le delibere formali di adesione al ricorso da parte di altri comuni di tutto il territorio nazionale.

Il ricorso al Tar del Lazio attaccherà formalmente un atto amministrativo ministeriale, la circolare del Ministero dell’Interno (12 Gennaio 2015) che ha previsto il commissariamento per i comuni inadempienti alla norma sull’accorpamento coatto delle funzioni comunali, ma conterrà in realtà un attacco ben più ampio alla norma sull’accorpamento coatto con una richiesta di rinvio alla Corte Costituzionale per la verifica di costituzionalità.

L’ACCORPAMENTO – L’accorpamento coatto dei piccoli comuni, è un provvedimento varato nel 2010 dall’ultimo governo Berlusconi ma che non è mai riuscito a trovare attuazione. Nella sua ultima versione (legge 56/2014) prevede l’obbligo per i comuni con meno di 5mila abitanti di esercitare in forma associata (con unione da almeno 10mila abitanti) le funzioni fondamentali. L’ultima proroga è arrivata dal governo Renzi che ha fissato al 31 Dicembre 2015 il termine per l’entrata in vigore dell’obbligo associativo ma visto il futuro rischio commissariamento i piccoli comuni stavolta hanno deciso di rivolgersi direttamente alla magistratura. “Una norma incostituzionale  – sostengono i “ribelli” – per la lesione del principio di autonomia degli Enti Locali e del principio di ragionevolezza della legge”.

I comuni nel ricorso al Tar contestano l’incostituzionalità della norma, perché lederebbe il principio di autonomia degli Enti Locali, garantito dalla Costituzione, ma soprattutto la sua irragionevolezza in quanto i dati Istat sulla spesa dei comuni evidenziano che i piccoli comuni hanno una spesa annua di 852 euro pro capite a fronte della media nazionale di 910 euro e della media dei grandi comuni pari a 1256 euro. “Dati che dimostrano – ha spiegato Francesco Pinto, Presidente dell’associazione Asmel – che non c’è affatto una correlazione tra piccole dimensioni del comune e costi di gestione (che sarebbe l’assunto alla base di questa normativa) ma c’è invece una correlazione opposta, perché è proprio nei piccoli comuni, dove è più agevole e stretto il rapporto con i cittadini, che è più semplice contenere i costi”.

LE SPESE – Asmel cita gli ultimi dati del Report Istat rielaborati dall’Ufficio Studi Asmel, che dimostrerebbero come al crescere del numero degli abitanti le spese dei comuni invece di diminuire crescono. Nei Comuni al di sotto di 15.000 abitanti (quelli che andrebbero cancellati per razionalizzare la spesa secondo l’ultima proposta di Piero Fassino, presidente dell’Anci), dove vive circa il 40% della popolazione italiana, le spese correnti dei Comuni ammontano a 774 euro per abitante. In quelli con più di 15.000 abitanti, le spese salgono a 995 euro per abitante. La proposta di Asmel: accorpamento di servizi e non di funzioni.

 

 

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