La donna venne uccisa per rappresaglia il 20 settembre del 2010 da Alberto Amendola e Giuseppe Avolio: aveva denunciato le molestie di Enrico Perillo alla figlia. Per i due assassini 22 e 18 anni di carcere

ROMA – La Cassazione ha confermato la condanna ai due assassini di Teresa Buonocore, la “mamma coraggio” di Napoli, che nel 2008 testimoniò contro Enrico Perillo, che aveva abusato di alcune minorenni tra le quali una figlia della donna. L’omicidio fu commesso per “rappresaglia” il 20 settembre del 2010 su mandato dello stesso Perillo.

Autori materiali dell’omicidio furono Alberto Amendola e Giuseppe Avolio: per loro la Suprema Corte ha reso definitiva la pena a 22 anni e 18 anni di reclusione decisa dalla Corte di Assise di Appello di Napoli il 22 maggio 2013. Amendola dovrà anche risarcire l’Ordine degli avvocati di Napoli perchè la Cassazione ha riconosciuto il diritto dell’ordine a costituirsi parte lesa nel processo per l’intimidazione subita dall’avvocato napoletano Maurizio Capozzo al quale l’imputato aveva incendiato lo studio, sempre per compiacere il Perillo.

“L’omicidio della “mamma coraggio” di Portici – scrive la Cassazione – era stato programmato ed eseguito come ritorsione verso la donna che con le sue dichiarazioni aveva determinato la condanna di Perillo a 15 anni di reclusione per i reati di violenza sessuale continuata e aggravata in danno di minori. Amendola, amico di lunga data della famiglia Perillo, aveva accettato l’incarico di punire la vittima e aveva coinvolto Avolio, a cui sarebbe andato un compenso di 10mila euro”, ha proseguito la Cassazione.

Lo stesso giorno del delitto, il corpo di Teresa Buonocore venne trovato su una rampa di accesso al porto di Napoli, dentro una macchina. Per l’omicidio, Perillo sta scontando l’ergastolo. Per quanto riguarda l’incendio dello studio, l’avvocato Capozzo aveva subito la pesante intimidazione perchè Amendola – scrive la Cassazione nella sentenza – lo riteneva responsabile di aver creato problemi a Perillo per alcuni abusi edilizi da questi realizzati sul terrazzo della sua abitazione: il legale in un procedimento penale aveva difeso il tenente D.G., denunciato da Perillo per violenza privata commessa nel contesto dell’accertamento dei reati edilizi”. Secondo la Cassazione, “il comportamento illecito realizzato dall’imputato era stato diretto a limitare il diritto di difesa costituzionalmente riconosciuto ed aveva pertanto leso anche l’Ordine di appartenenza del soggetto passivo del reato”.

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