Una riflessione dello scrittore e fotogiornalista Luca Musella per il Desk.it
Circa 260 morti ogni ora: è la mattanza operaia nel mondo. Viene voglia di non guardare l’orologio, le lancette killer che scandiscono la danza assassina del capitalismo cannibale. 6300 vittime di lavoro ogni 24 ore: una guerra di oltre 2 milioni di vite smarrite all’anno. Il cronometro omicida in Italia non è da meno: 1220 morti nel 2021, 1090 nel 202…per non contare le morti che, per motivi prettamente statistici, non vengono conteggiate. Oppure gli incidenti talmente invalidanti da cancellare perpetuamente ogni sorriso.
I dati, però, mentono: ho conosciuto un operaio che lavorava con l’amianto e, mentre i padroni sapevano che era pericoloso, gli operai ignari se lo lanciavano addosso per gioco nello spacco. “Sembrava lana”, mi raccontò una volta uno di loro e poi, però, quella lana a distanza di anni lo ha mandato al creatore, insieme a molti del suo reparto. Così come non sono conteggiate le morti bianche o quelle dove il nesso incidente – morte, è indimostrabile. Bambini che scivolano per sempre nelle miniere. Donne, sfigurate dalla fatica, che finiscono triturate dal macchinario: inghiottite.
È la fretta che causa la maggior parte degli incidenti sul lavoro. Una fretta imposta dalla cultura a cottimo. Una fretta imposta dai contratti precari, dove se non si corre abbastanza si viene fatti fuori. Una fretta che trasforma l’incidente, in una variabile accettabile, pur di non rallentare i processi produttivi. Pensate solo che un flessibile di marca buona, ad esempio, è venduto con tre sistemi di sicurezza. Uno posto nella spina, uno nell’interruttore, uno sulla lama. Praticamente al presentarsi di una situazione critica, si spegne da solo. Cosa fanno i padroncini sui flessibili per andare più in fretta? Eliminano tutte e tre le sicurezze, quindi svariati incidenti da flessibile sarebbero facilmente evitabili. Idem per gli operai che cadono dalle impalcature nell’edilizia: un gancio salvavita, mi vergogno a dirlo, costa dodici euro, ma rallenta i movimenti. Del resto, mettere in condizione economica ultra sessantenni a dovere accettare di lavorare a dieci metri di altezza non è una imprudenza, è un crimine.
“Immaginate uno di questi uomini, così come io li ho visti – magri per la fame, scavati dalla disperazione, noncuranti della loro vita, che le Vostre Signorie valutano forse ancora meno di un telaio…” 27 febbraio 1812 – discorso di Lord Byron alla camera dei Lords in difesa dei Luddisti.
Le prime Lotte, nella loro angoscia, non avevano obiettivi certi, rivendicazioni comprensibili. Era L’Uomo, che schiacciato dal peso della macchina della rivoluzione industriale, finiva per distruggerla. Ogni Diritto conquistato è costato sangue innocente, vero, ma anche sudori cerebrali difficili da raccontare. Decifrare il malessere, trasformarlo in energia è stato il vero compito delle élite, fino a quando non si sono strafogate al banchetto delle fondazioni rosa confetto.
Abolire la schiavitù, ad esempio, non è stato sufficiente per abolire gli schiavi. Molti schiavi, senza le garanzie orribili della stessa schiavitù, si sono sentiti smarriti, arrivando anche a rimpiangerla. La nascita delle favelas in Brasile si deve proprio a questa specie di nostalgia per qualcosa che non si sa. È il villaggio africano, quello della memoria inconscia, da dove una volta strappati non era più possibile tornare. Così si sono occupate terre misere perché scoscese e si è rimasti là, dopo oltre un secolo, ancora sospesi tra qualcosa che non si è e qualcosa che non si può più essere. Tornare, ma dove? Come? Le super alienazioni delle modernità provocano lo stesso spaesamento e, come nella schiavitù, un mix tra livore e senso di colpa paralizza ogni sentire. Liberare e liberarsi richiede uno sforzo fisico, ma anche di logica, di Nuova Politica. Distruggere la macchina, nel Luddismo, era un meccanismo per riaffermare la propria Umanità: ed è esattamente quello che noi dobbiamo fare, anche se non è così semplice identificare l’ingranaggio da distruggere.
La crudeltà turbocapitalista che trasforma l’Uomo in rifiuto umano non riciclabile, in esubero, in cronicità, in uno dei tanti “fine pena mai”, si avvale di un portentoso complice: la nostra stupidità. Intontiti, divisi, preoccupati, non riusciamo a cogliere che ci avviamo ad una società spenta, dove finiremo per cibarci di crocchette per cani, bevendo litri di sostanze vaccinali misteriose. Tutti a cottimo, tutti trasformati in prostituti che lungo il viale della vita devono solo vendersi. Scannarsi reciprocamente per poter esistere, in una lotta meschina contro una burocrazia sempre più ossessiva e onnipresente e contro i nostri stessi IO, sempre più gonfi e fragili.
Così ci tocca ritornare alle origini del Movimento Operaio e danneggiare il padrone, anche se non sappiamo più quale è il suo volto in questa rivoluzione digitale. Le multinazionali del male scompongono la Umanità in linee di produzione e linee di consumo, così si torna alla schiavitù per alcuni e alla schiavitù dei consumi per altri.
Una Nuova Resistenza, personale e collettiva, parte dunque da questa angoscia e, in assenza di un chiaro nemico da colpire, cerca almeno di non soccombere al torpore dello psicofarmaco delle narrazioni ultraliberiste. “Occhi, Cuore e Cervello” scriveva Gramsci. Il Nuovo Luddismo parte dalla priorità di dare precedenza all’Uomo, alla Natura, ai Sogni. Tornare ad incidere è frutto di una consapevolezza politica che ponga la Esclusione, la Sofferenza e la Guerra al centro di ogni agire e sentire, superando anche gli schemi stanchi di una sinistra antagonista infelicemente dopata da troppi Ego deformi. La trincea Operaia, dove muoiono innocenti ogni pochi secondi, è la trincea di una Nuova Lotta di Classe Internazionale, che esca dagli incensi rosé dei vernissage e torni nei luoghi degli abbandoni.
Luca Musella