Operaio morto a Napoli, in 7 come lui nei primi 4 mesi dell’anno: è strage silenziosa

Drammatici i dati del primo quadrimestre 2016: sono 267 gli eventi mortali registrati, 67 al mese, 2 al giorno. In Campania 16. Ancora scarsi la prevenzione e i controlli

Stava lavorando alla ristrutturazione di una villa quando è precipitato al suolo per cause da accertare. Un operaio è morto cadendo da un’impalcatura al quinto piano di via Girolamo Santacroce, a Napoli. L’uomo è deceduto sul colpo dopo un volo di alcuni metri. Sul luogo è arrivata una pattuglia della polizia. Un altro operaio edile morto. Un’altra vita spezzata sul posto di lavoro. Un’altra famiglia privata dell’unico reddito con cui vivere. Una strage. Un massacro. Drammatici i dati forniti dagli organismi statali per la prevenzione e assistenza assicurativa (Inail) e dalle organizzazioni sindacali confederali Cgil, Cisl, Uil riguardanti i primi quattro mesi del 2016. Sono 267 gli eventi mortali registrati, 67 al mese, 2 al giorno. In Campania sedici morti bianche, di cui 7 a Napoli. Una situazione che si aggrava giorno dopo giorno e che ancora non ottiene la giusta attenzione dal Governo né sul fronte di un efficace programma di diffusione della cultura della sicurezza sui luoghi di lavoro, né dal punto di vista dei controlli e delle sanzioni contro gli ‘evasori’ della sicurezza. L’11,3 per cento delle vittime è stato rilevato sia nel settore delle costruzioni che in quello dei trasporti e magazzinaggi, individuati come settori più a rischio. Seguono le attività manifatturiere (10,3 per cento), il commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione autoveicoli e motocicli (7,8 per cento). La fascia d’età più colpita è ancora quella compresa tra i 45 e i 54 anni.

 

Gli infortuni si verificano per la scarsa prevenzione, l’insensibilità dei datori di lavoro parti integrante di un sistema di produzione e lavorativo che trasforma le persone in merce in nome del profitto. E aumentano le malattie. Le principali malattie rilevate sui luoghi di lavoro riguardano patologie osteo-articolari e muscolo tendinee, e affezioni dei dischi vertebrali. Molti, anche i casi di malattie respiratorie mentre continua a essere preoccupante il dato relativo ai tumori. L’articolo 9 della legge 300 del 1970 (lo statuto dei lavoratori) prevede che i lavoratori mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme di prevenzione delle malattie professionali e di promuovere l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica. I controlli sulla salute dei lavoratori devono essere effettuati dalle strutture pubbliche come i centri di medicina del lavoro, strutture pubbliche più affidabili e ‘poco condizionabili’. Recependo tale normativa le Regioni italiane dovevano rafforzare i “servizi di medicina del lavoro” sui territori, legati ai posti di lavoro. Tali servizi dovevano privilegiare la prevenzione primaria ossia l’intervento diretto dei lavoratori nella gestione della salute, far uscire gli operatori sanitari e sociali dall’arroccamento nelle cliniche del lavoro e negli ospedali per renderli capaci di agire sul territorio e in fabbrica, definire le cosiddette mappe di rischio. Tutto è rimasto sulla carta.

 

I piani di sorveglianza sanitaria sono diventati dei ‘mattoni di carta’ chiusi nei cassetti degli uffici delle aziende. Documenti che vengono puntualmente ‘vidimati’ e ‘legittimati’ dagli organismi di vigilanza dello Stato(le Asl) ma non diventano parte integrante del sistema di produzione o di organizzazione del lavoro. Le aziende non investono nella sicurezza e nella formazione. Sotto accusa soprattutto l’organizzazione del lavoro Eppure, i datori di lavoro che acquisiscono commesse e appalti pubblici ottengono il riconoscimento delle ‘spese per la sicurezza’ quando incassano le fatture degli stati di avanzamento dei lavori (Sal). Le risorse pubbliche vengono incassate ma non investite per garantire la sicurezza. E i direttori dei lavori nominati dagli enti appaltanti pubblici continuano a non svolgere efficacemente il ruolo di vigilanza e di controllo. Non bastano le leggi vigenti, lo statuto dei lavoratori o i decreti attuativi del testo unico per la sicurezza. Finché il medico competente aziendale, i piani di sorveglianza sanitaria o di valutazione del rischio sono nelle mani delle imprese, per i lavoratori c’è poco da fare. Invece, rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza(Rls) dovrebbero assumere un ruolo di primo piano nell’ambito dell’organizzazione del lavoro. Non può essere l’azienda a “valutare” se le sue stesse misure antinfortunistiche sono insufficienti.

Ciro Crescentini

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