Anziani accompagnati fin dentro al seggio elettorale per votare i candidati imposti dal clan camorristico
I Carabinieri della compagnia di Caserta hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 19 persone indagate a vario titolo per i reati di scambio elettorale politico mafioso, estorsione, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, commessi con l’aggravante del metodo mafioso. Le indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli si sono concentrate sull’intervento del clan camorristico Belforte sulla città di Caserta durante le consultazioni elettorali per il rinnovo del Consiglio regionale della Campania svolte il 31 maggio
2015 e in particolare sull’intervento di Agostino Capone e del clan da lui retto, imponendo ai candidati di avvalersi, per il servizio di affissione dei manifesti elettorali nella città di Caserta, di una società intestata alla moglie, e intervenendo per condizionare il voto e orientarlo in favore di candidati disposti a versare al clan somme di denaro, buoni pasto e buoni carburante. Le misure cautelari disposte dall’ordinanza emessa dal gip di Napoli sono di custodia cautelare in carcere, arresti domiciliari e divieto di dimora nelle province di Caserta e Napoli.
Sono stati posti agli arresti domiciliari Pasquale Corvino e Pasquale Carbone, entrambi candidati con il Nuovo Centrodestra alle elezioni regionali in Campania nel 2015. Secondo quanto emerso dalle indagini della Dda di Napoli culminate nell’esecuzione di 19 misure cautelari, Corvino e Carbone avrebbero chiesto agli esponenti del clan camorristico Belforte di procurare loro i voti di soggetti legati al clan in cambio di somme di denaro e altre utilità. In particolare, Pasquale Corvino avrebbe chiesto l’appoggio elettorale nel territorio di Caserta promettendo ad alcuni esponenti del clan la somma di 3mila euro ciascuno, buoni spesa e buoni carburante.
Anche Pasquale Carbone, attraverso un intermediario, si sarebbe rivolto a un affiliato al clan Belforte per ottenere i voti del clan e, come corrispettivo, aveva versato la somma di 7 mila euro, in cambio di 100 voti nel comune di Caserta. Carbone ha però ottenuto meno voti di quelli promessi, 87 anziché 100, motivo per cui avrebbe chiesto la parziale restituzione della somma versata per il procacciamento di voti. Pasquale Corvino e Pasquale Carbone hanno ottenuto rispettivamente 5.733 e 2.539 preferenze alle elezioni regionali campane del 2015 nella circoscrizione di Caserta, non risultando eletti. Pasquale Corvino e Pasquale Carbone, entrambi tra le persone arrestate oggi, in passato hanno ricoperto, rispettivamente, le cariche di ex vicesindaco a Caserta ed ex sindaco a San Marcellino (Caserta).
Minacce ai procacciatori di voti, anziani accompagnati fin dentro la cabina elettorale e schede controllate prima di essere imbucate. Così il clan camorristico Belforte allungava la sua mano sulle elezioni regionali campane del 2015 a Caserta. Nell’ordinanza spuntano alcune conversazioni intercettate tra gli indagati e che mostrano in che modo il clan influenzava il voto. In una delle intercettazioni Agostino Capone, ritenuto dagli investigatori reggente del clan Belforte, minacciava delle persone al fine di assicurarsi i voti: “Se non escono i voti devi vedere! Ti togliamo la macchina da sotto!”, a dimostrazione della forza intimidatrice utilizzata per ottenere i voti per Pasquale Corvino. Ulteriormente “rilevanti” vengono ritenute le esternazioni sulle modalità con le quali sarebbe stato controllato il rispetto dei patti, cioè che i voti promessi a Corvino sarebbero effettivamente stati dati dagli elettori che avevano ricevuto i buoi spesa o carburante: “Li vado a prendere… li porto a votare fino a dentro! Con il telefono in mano faccio la foto, devo vedere sul telefono se no non hanno niente!”. A conferma della spregiudicatezza degli indagati, è stato accertato come Agostino Capone, in persona, si fosse occupato di accompagnare con la sua auto alcune persone anziane al seggio, facendole entrare nella cabina elettorale insieme alla moglie, per controllare se avessero votato bene. Lo stesso Capone, in una conversazione ambientale, raccontava alla moglie di aver “controllato le schede” prima di farle imbucare e di aver corretto con la matita il nome del candidato in Corvino, arrivando persino ad intimidire il presidente del seggio: “Non mi ha detto proprio niente perché io lo stavo menando a quello la dentro!”.
I candidati al Consiglio regionale della Campania erano costretti a rivolgersi al clan camorristico Belforte, e in particolare a una società di servizi intestata alla moglie di un esponente di vertice, per l’affissione dei manifesti elettorali nella città di Caserta.
Quanto emerso dalle indagini è stato confermato agli investigatori da Luigi Bosco, attuale consigliere regionale campano eletto con la lista “Campania Libera”, movimento del presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca: Bosco, che non risulta indagato e non è tra i destinatari dell’ordinanza emessa dal gip di Napoli, ha confermato che a Caserta “vi sono state alcune anomalie” in quanto, per avere visibilità, era necessario rivolgersi a un determinato gruppo di persone.
A conferma di ciò, Bosco ha raccontato agli inquirenti che un suo collaboratore, durante l’affissione dei manifesti nel comune di Caserta, era stato aggredito da alcune persone che gli avevano intimato di allontanarsi, in quanto a Caserta nessuno poteva affiggere senza il loro consenso. Dopo tale episodio, inoltre, un esponente del clan si era presentato nel suo comitato elettorale “con fare spavaldo”, garantendo che affidando a loro l’affissione dei manifesti avrebbe avuto “la giusta visibilità”, viceversa avrebbe avuto dei problemi. Le indagini hanno permesso di accertare che Giovanni Capone, esponente di vertice del clan all’epoca detenuto, utilizzando dei “pizzini” aveva dato precise disposizioni al fratello Agostino Capone affinché si occupasse dell’affissione dei manifesti elettorali nella città di Caserta. Quest’ultimo, avvalendosi della collaborazione materiale di Vincenzo Rea, Antimo Italiano, Antonio Merola e Antonio Zarrillo, ha imposto ai candidati di fare riferimento alla società di servizi “Clean Service“, a lui riconducibile in quanto intestata alla moglie, Maria Grazia Semonella. Tale imposizione avveniva sia con intimidazioni esplicite, come captato nel corso delle intercettazioni, sia attraverso minacce rivolte ai singoli soggetti sorpresi ad affiggere i manifesti a tarda notte, sia coprendo i manifesti affissi senza ricorrere alla loro società, facendo poi arrivare il messaggio che tale inconveniente non si sarebbe verificato se si fossero rivolti alla società Clean Service. Come emerge dalle conversazioni captate tra gli indagati, i proventi di tale attività ammontavano a circa 17mila euro, dei quali una parte erano destinati a rimpinguare le casse della fazione del clan riferibile a Giovanni Capone, con particolare riferimento al mantenimento degli affiliati all’epoca detenuti in carcere. Capone, Rea, Italiano, Merola e Zarrillo sono destinatari della misura cautelare della custodia in carcere, mentre Maria Grazia Semonella è stata posta agli arresti domiciliari. Tra le persone indagate, anche Lucrezia Cicia di Forza Italia,la compagna del primario dell’ospedale Cardarelli ed ex sindaco di Capua Carmine Antropoli – arrestato ieri dai carabinieri con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. A Lucrezia Cicia viene contestato il voto di scambio. Indagato anche l’ex sindaco di Curti e consigliere regionale di Forza Italia Domenico Ventriglia che però è deceduto e quindi dovrà essere depennato.