I commercianti di San Gregorio Armeno si ribellano alle casette tirolesi. Meglio un allegro disordine?

La buonanima di Pasolini, che grazie a Facebook e Twitter sappiamo tutti essere morto 40 anni –e qualche giorno- fa, aveva della nostra città e dei suoi abitanti in particolar modo, un’idea molto precisa. Frasi scolpite nella pietra consegnate  nel lontano 1976 ad Antonio Ghirelli, il giornalista napoletano che ha avuto modo di intervistare il regista durante le riprese del Decameron.

Pasolini, in quel pezzo che ha fatto storia, dice in buona sostanza che i napoletani si estingueranno perché rifiutano la modernità, o in altre parole, la storia.  Dice proprio ‘sono irripetibili, irriducibili e incorruttibili’. Parole inequivocabili a mio modesto avviso, ma che invece devono essere sembrate una specie di difesa a spada tratta della napoletanità in tutta la sua più profonda essenza. È vero, PPP dice che questo fatto che opporsi alla civiltà è sacrosanto, ma che non accade né più né meno la stessa cosa alle tribù africane o agli zingari, rappresentanti di quella varia umanità che nessuno di noi esiterebbe a definire con un’ espressione generica e imprecisa ‘terzo mondo’ rifiutando clamorosamente di potervi essere associati anche solo per un attimo.

Perché noi pensiamo sempre di stare dalla parte giusta, che questo rifiuto della modernità faccia colore, ci renda simpaticamente diversi dal resto del mondo e questo almeno fino a che le cose vanno bene, per poi accusare la nostra stessa città di essere matrigna, non appena butta male. Lo ha fatto, ultimo in ordine di tempo, un calciatore di non so che squadra di serie A la cui ignoranza è rimbalzata in maniera virale in tutto il web. Il ragazzotto ventenne che mastica poco l’italiano –figuriamoci l’inglese- viene riproposto col suo bel faccione mentre gli si arrotola la lingua nel pronunciare l’espressione ‘Save the Children’, un momento di televisione imbarazzante –ma non dei peggiori, in verità- di cui il calciatore si è scusato con una lettera pubblica, cercando comprensione della sua ignoranza nel fatto di essere nato a Scampia e dell’aver tirato a campare portando le cassette d’acqua nelle case.

Posto che all’ignoranza non c’è giustificazione e che è inutile in questa sede rievocare le storie di bambini che studiano alla luce del lampione o che si fanno 13 km a piedi nudi per raggiungere una scuola fatta di canne di bambù, trovo surreale attribuire fortune favorevoli o avverse all’area di provenienza geografica, o meglio che quelle stesse pietre possano essere utilizzate per rafforzare o demolire concetti, per avallare fallimenti, per esaltare colpi andati felicemente a segno.

Crolla proprio il principio base di autodeterminazione, quello per cui in buona sostanza ogni individuo compie scelte autonome e, come nel caso dei miei concittadini, spesso assolutamente autoreferenziali, che non patiscono neanche la fatica di aver girato il collo a destra o a sinistra nel tentativo di entrare in armonia con quanto li circonda, fondervisi, dialogare col resto del creato, insomma.

Il napoletano da che mondo è mondo deve fare sostanzialmente come vuole, nel momento esatto in cui lo vuole e a nulla serve provare timidamente ad indirizzarlo. Lui protesta. Così come stanno protestando in queste ore i commercianti di San Gregorio Armeno cui un decisamente troppo ottimista Sindaco, aveva suggerito di svolgere la loro attività all’interno  di gazebo modulari, in modo da restituire, mi immagino, ad una strada dove si cammina praticamente a senso unico alternato, un poco di ordine, un minimo di vivibilità, una suggestione vagamente europea. Neanche gli avessero toccato la mamma, gli artigiani della zona hanno detto che no, loro mica sono tirolesi che si mettono nelle casarelle tutte uguali, piuttosto preferiscono pagare la tassa (quella di occupazione di suolo pubblico che verrebbe ridotta nel caso di utilizzo dei gazebo).

‘No alle casette tirolesi’ è diventato una specie di mantra che echeggia da giorni per la via dei presepi, invocato a gran voce da artigiani e commercianti, che racchiudono in quel ‘tirolese’ tutti i mali del mondo, quasi come fosse un insulto piuttosto che un aggettivo che ha il malcapitato compito di indicare uno stile più o meno aggraziato, ma sicuramente distantissimo dal nostro. Distintissimo dal nostro disordine ancestrale, dalla nostra autodeterminazione, appunto, che spesso, troppo spesso sfocia in quell’assoluta mancanza di limite, di senso civico, di buon gusto, da cui siamo evidentemente circondati quando non sopraffatti.

Ma se l’identità del napoletano è proprio quella di galleggiare in questa specie di caos primordiale, cosa è dunque giusto? Provare a dare alla città di Partenope un assetto più ordinato? Lasciare che gli abitanti di questa città surreale continuino ad autoregolamentarsi andando di fatto ad ingrossare le file del disordine e del disservizio? Come è giusto porsi di fronte a questa struggente resistenza all’ordine?

Tocca ripescare il succitato de cuius e limitarsi a constatare che 40 anni fa come oggi tale tenace opposizione a qualsivoglia forma di evoluzione prende le sembianze di un doloroso, ma inevitabile ‘suicidio collettivo’ che porterà alla lunga alla estinzione della città e dei suoi abitanti. Nell’impossibilità di trovare una giusta via di mezzo tra ‘gli uomini di amore’ e ‘gli ‘uomini di libertà’ di bellavistiana memoria, e gongolandosi sulle parole di Adams che diceva che il caos spesso genera la vita, laddove l’ordine spesso genera l’abitudine, non resta che arrenderci all’evidenza e provare ad individuare il proprio posto all’interno di questa estinguenda tribù del disordine.

Sarah Galmuzzi

(foto Casa Surace)

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