
Riceviamo e pubblichiamo
Ed ora un’idea di SUD. La ripresa da questo shock pandemico rimette al centro tutte le difficoltà del Mezzogiorno, anzi, aggravandole enormemente.
Il sistema economico, ormai largamente compromesso, non può ripartire senza l’intervento pubblico, è illusorio pensare che il sistema produttivo meridionale ritorni a camminare con le proprie gambe.
La quantificazione della perdita è di 500 euro pro capite al mese per ogni cittadino del Sud, pari a 10 miliardi di euro andati in fumo nel periodo del lockdown. Mentre il PIL del Mezzogiorno arretra dell’1,4%.
Un Sud decisamente più povero per perdita di ricchezza, occupati, liquidità, capitale circolante e per la sostanziale contrazione della capitalizzazione di migliaia di imprese, molte delle quali in ritiro definitivo.
Il virus Covid – 19 ha acuito le disuguaglianze tra nord e sud, perfino il governatore di Bankitalia ammette che sono aumentate le famiglie che non riescono a mantenere standard di vita accettabili, prefigurando una massiccia dose di liquidità da immettere nel sistema per non far cadere famiglie ed imprese nel baratro di una insanabile povertà.
L’aumento del debito europeo (Recovery fund), con tutte le contraddizioni di un sistema sovranazionale equivoco e foriero di austerità, che porta in grembo Stati tra i “migliori” paradisi fiscali al mondo, diventa una opportunità per allargare la spesa pubblica. Un massiccio intervento nell’economia del Mezzogiorno ristabilirebbe una condizione di equilibrio necessaria alla caratterizzazione del proprio destino. Un sostegno per l’autodeterminazione in un quadro di efficienza e trasparenza. Non un’occasione da sfruttare, ma un cambio di vita radicale.
E’ il caso, allora, di praticare un patto di comunità che nasca dalle stesse viscere del SUD, per acquisire conoscenza e caratterizzare la forza delle idee, che sappia promuovere responsabilità e formazione delle decisioni. Insomma, una sorta di “catechesi politica” che faccia arretrare il germe dell’individualismo mettendo gli interessi dei singoli sotto l’appartenenza alla collettività.
Il SUD ha dimostrato in tante occasioni, e da ultimo in questo periodo storico di crisi sociale, di essere una culla democratica, nonostante chiari connotati di egoismo territoriale, al limite del razzismo, da ricercare altrove e non certamente nella sua pancia.
Le forze interne al Mezzogiorno dovrebbero puntare alla qualificazione dell’esserci sia a livello etico che intellettuale, non solo per la descrizione della politica, cioè per il senso stesso che dovrebbe rivestire, ma per la rappresentazione reale delle cose e dei bisogni comunitari. Superare, quindi, l’approccio descrittivo e passare alla determinazione di quelle azioni etiche che sappiano rispondere alle domande rilevanti, ad affermare quella sintesi condivisa per un mondo possibile. Alzare il tiro della mediazione sociale con le forze esterne, senza più appartenere alla sola categoria dei “professionisti della discussione”.
Un cambio di passo necessario per arrivare ad un vero e proprio contratto sociale con il potere, nel senso di contrattare le scelte con chi comanda. Più forte è il patto di comunità, più alta risulterà la contrattazione con chi sceglie il destino degli uomini e delle città.
Mai prefigurare, quindi, una cessione di sovranità, ma stabilire una equidistanza ed una reciprocità con il governo di turno, affinché la determinazione del diritto, e dei propri diritti, nasca da questo condizionamento.
Sembrerebbe una provocazione non “affidarsi” ad una classe dirigente illuminata, ma ogni tentativo negli ultimi decenni, da questo punto di vista, ha prodotto solo macerie per l’intero meridione.
Duellanti senza popolo, alfieri senza esercito hanno usato le leve del potere politico rinunciando all’esercizio degli interessi generali. Il desolante individualismo offerto da gente inventata che recita a soggetto ha sclerotizzato i rapporti di forza, creando un sistema di vassallaggio fondato principalmente sullo scambio (innaturale) tra diritto e favore, tra cittadinanza ed ospitalità, così creando una zona d’ombra tra libertà e servitù. Fino ad introiettare questi elementi come connaturati e perpetui.
Bisogna mettere assieme chi è capace di disegnare un campo economico per il SUD, un grande intervento pubblico capace di delineare un sistema di relazioni forti e moltiplicatore di autodeterminazione.
Ciò che è mancato in questi ultimi decenni è la capacità di attrarre discussione e proposta, di articolare la riflessione ed incassare la sua pratica attuazione.
Il Mezzogiorno diventi “untore” di cultura e capitale umano, generi coscienza, maturi strategia. Per non perdersi, per non finire, per ritrovarsi.
E’ importante ripartire dalle fondamenta di questo, per uscire dal guado di un Sud perdente e perennemente in attesa di azioni risarcitorie, acclarando l’idea di un vittimismo di comodo. Altrimenti il credere in un protagonismo qualificato e decisionista, necessario, dovuto e fattibile, sarà vissuto come un sogno impossibile. E allora perderemmo proprio tutti.
Raffaele Carotenuto