Il genio ribelle di Prince, icona di quegli anni ’80 irripetibili per lui

Perché il re del pop, scomparso giovedì scorso, ha segnato quel decennio. L’ultimo colpo di coda nel 1991 con l’album Diamonds and Pearls

Giovedì 21 aprile si è spento Prince Roger Nelson o, più semplicemente, Prince poi fattosi chiamare Tafkap (The Artist Formally Known As Prince), The Artist ed, infine, Symbol. Nato il 7 giugno 1958 o 1960 a Minneapolis, terzo di otto figli. Anno dopo anno, ma soprattutto dopo la separazione dei genitori, diventa quello che i responsabili scolastici sono soliti definire un ragazzo difficile: chiuso e ribelle, sensibile ma incapace di accettare qualsiasi disciplina. Il padre, John Nelson, musicista, e la madre, Mattie Shaw, cantante, sebbene artisti con alti e bassi gli hanno pur dato qualcosa con cui difendersi da solo: la passione per la musica ed una fantasia senza confini. Dopo aver fondato i Grand Central e, poi, gli Champagne con Andrè Cymone ed aver dimostrato di essere un polistrumentista nato, Prince conosce Chris Moon ed ha la possibilità di usufruire dei Moon Sound Studios e per la prima volta cerca migliore fortuna a New York ma decide di tornare a Minneapolis dove viene messo sotto contratto dalla Warner Bros che stanzia per il primo album di Prince una cifra non comune (100.000 dollari) e Prince esordisce sul mercato discografico americano con Prince For You nel 1978 seguito dall’album Prince del 1979, album che, aldilà del successo dei singoli I Wanna Be Your Lover ed I Feel For You portato poi al successo planetario da Chaka Khan, riporta in copertina l’immagine di Prince su di un cavallo alato. Con il terzo album, Dirty Mind, Prince si affaccia negli anni ’80 scegliendo di esasperare i toni trasgressivi: sulla copertina viene ritratto con un impermeabile che rivela il suo corpo coperto di soli slip neri e di calzamaglia. L’anno dopo viene edito Controversy sul quale troviamo brani come Sexuality ed Annie Christian ma i temi si ampliano fino al politico ed al religioso. In Controversy Prince si chiede: “Sono bianco o sono nero, sono etero o sono gay? Credo in Dio o credo in me?” e conclude “La gente mi chiama maleducato, io vorrei che fossimo tutti nudi, vorrei che non ci fossero bianchi e neri, che non ci fossero regole”.

 

Il periodo d’oro per Prince comincia nel 1982 quando Prince pubblica il doppio album 1999 con la partecipazione dei Time e delle Vanity 6 ed è con quest’album, contraddistinto da tre grandi pezzi come 1999, Little Red Corvette e Delirious che Prince mette le fondamenta per i suoi progetti più ambiziosi. Con Purple Rain nel 1984 si ha l’esplosione di Prince al punto che persino Miles Davis arriva a definirlo il “Duke Ellington degli anni ‘80” ed oltre all’album che in pochi mesi vende nove milioni di copie con una serie di hits che culminano nel brano che dà il nome allo stesso album con la collaborazione di musicisti come Wendy & Lisa (tastierista e chitarrista dei Revolution) e con la prorompente sensualità di Apollonia, Prince realizza anche l’omonimo film che ha uno strepitoso successo. Il colore viola (purple), colore nefasto nel mondo dello spettacolo, diventa il colore della magia e dell’immaginario oltre al colore del mito di Prince. Prince intanto crea la Paisley Park, la sua etichetta discografica, situata in una grande sede a Minneapolis dove vive e lavora con i suoi fedelissimi molto simile alla Factory di Andy Warhol.

 

Nel 1985 Prince compie una magistrale virata con l’album Around The World In A Day, album psichedelico nel quale Raspberry Beret potrebbe essere stata scritta dal duo Lennon-McCartney ma è tutto il sound dell’album e la copertina variopinta dello stesso che rimandano alla psichedelia. Dopo la psichedelia variopinta di Around The World In A Day si arriva al bianco e nero di gran classe di Parade nel 1986. Per il lancio dell’album Prince pensa ad una nuova opera cinematografica Under The Cherry Moon che, però, si rivela fallimentare rispetto a Purple Rain. L’album si rivela, invece, un piccolo capolavoro intriso di hits e di una canzone, Kiss, destinata a rimanere scolpita nella storia della musica e dei video musicali, basti pensare alla versione cantata da Julia Roberts alla presenza di Richard Gere in Pretty Woman o alla versione fattane dagli Art of Noise. Il video originale con Prince in gran forma è semplicemente straordinario.

 

Il 1987 è l’anno di Sign O’the Times, album che unisce il sacro (The Cross) ed il profano (Hot Thing), la cronaca (Sign O’the Times) e la dance music (U Got the Look). In quest’album e nel tour che ne segue Prince ordina a tutti di abbandonare il colore viola per il colore pesca, mette in scena acrobazie ed esasperati assolo ed il tutto come in una festa dell’eros. Nello stesso 1987 c’è spazio anche per il Black Album che fu pubblicato solo successivamente mentre il 1988 è l’anno di Lovesexy ed anche in quest’album la ricerca mistica s’intreccia alla fisicità. Il decennio d’oro di Prince si chiude con la colonna sonora di Batman in cui troviamo brani che ben si attagliano al film tanto che rimane memorabile la recitazione di Jack Nicholson che nelle vesti del Joker balla sulle note di Partyman così come rimane memorabile il duetto ultrasexy di cui Prince si rende protagonista con Kim Basinger sulle note di Scandalous. Si chiudono così per Prince gli anni ’80 e, forse, l’ultimo colpo di coda della genialità di Prince la si può percepire nell’album Diamonds and Pearls del 1991 mentre quasi tutta la produzione successiva non ha mai raggiunto i picchi raggiunti negli anni ’80, anni in cui Prince sia in proprio sia come autore e come produttore accanto a nomi del calibro di The Bangles, Jill Jones, Apollonia, Vanity 6, Sheena Easton, Madonna, Kim Basinger, Wendy & Lisa, Sinéad O’Connor, Chaka Khan è stato assoluto protagonista di un decennio disprezzato dal punto di vista musicale sebbene durante lo stesso vi siano state le migliori produzioni di Bruce Springesteen, di Madonna, di David Bowie, dei Depeche Mode e di tanti altri.

Gianfranco Meo

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