Il mobbing: una tortura, reato da perseguire

Aumentano le vessazioni per colpa della precarietà

“Alcuni casi di mobbing si manifestano come veri e propri casi di tortura e  andrebbero affrontati  e perseguiti come reati di tortura”.  Non  ha usato giri di parole, Francesco Blasi direttore dell’Unità Operativa di Salute Mentale 24 dell’Asl Napoli 1, uno relatori presenti al convegno del mobbing, del disagio psicologico nei luoghi di lavoro e alla legge regionale svoltosi oggi a Napoli presso Palazzo Serra.   “Il mobbing è una tortura, uno stupro morale che può produrre effetti devastanti sulle persone,  ferite che non rischiano di non sanarsi mai, un punto di non ritorno in termine di stress e di lavoro correlato” – ha aggiunto Blasi.

Interessanti e significativi gli interventi  di Mariapia Garavaglia presidente dell’Istituto Superiore Studi Sanitari “G.Cannarella” di Roma; Antonio Marciano consigliere regionale; Giovanni Nolfe Responsabile Centro di Riferimento della Campania per il Mobbing e il Disadattamento lavorativo dell’Asl Napoli 1; Enzo Cordarodell’Associazione Italiana Benessere  e Lavoro di Roma.

“Bisogna rimettere al centro della discussione politica l’etica del lavoro, la responsabilità e la solidarietà sociale – ha sottolineato il consigliere regionale Antonio Marciano, uno dei promotori della legge regionale sul mobbing.

Tante le vittime.  Lavoratori che ogni giorno subiscono prese in giro e rimproveri e quelli che all’improvviso, senza giustificazione, si ritrova a ricoprire un ruolo che non gli appartiene. Ancora più squallido il caso di chi viene licenziato ingiustamente,  reintegrato dal giudice e al rientro al lavoro trova come postazione una scrivania di cartone ubicata dentro un deposito. Infine chi dalla busta paga vede sistematicamente sparire la voce ‘straordinari” e altrettanto sistematicamente viene costretto a saltare i riposi o a rinunciare alle ferie.

Il “sistema”  è in parte legato alla crisi economica e si è rafforzato con le ultime leggi che avallanno e legittimano precarietà e licenziamenti facile. “Il datore di lavoro costringe un dipendente ad andare via, sottoponendolo a continue umiliazioni – Sottolinea Giovanni Nolfe – Il mobbing, dunque, come ‘strumento di gestione dell’impresa” a costi zero: perché – aggiunge Nolfe – è più facile convincere il lavoratore ad andarsene piuttosto che licenziarlo”.

Il vero problema è dimostrare l’esistenza del mobbing, in assenza di una legge che lo qualifichi come reato, dunque perseguibile penalmente. Attualmente la vittima deve produrre le prove: testimonianze, registrazioni, effettivo declassamento professionale. E non è per niente facile – perché i datori di lavoro stanno molto attenti e alla persona vessata, torturata viene a mancare la solidarietà dei colleghi che dovrebbero sostenerlo.

La solidarietà sociale è fondamentale sui posti di lavoro per non mettere in gioco la dignità delle persone. La paura e il disagio sono ostacoli difficili da superare. Le organizzazioni, le associazioni sindacali e sociali dovrebbero impegnarsi per convincere i lavoratori vittime di soprusi ad uscire dal loro guscio e affrontare il problema. Prima che la situazione li schiacci completamente.

La prevenzione è l’arma fondamentale: intervenire nella fase iniziale, evitare che la vittima si abitui a convivere con il sopruso sino ad accettarlo. Sino a scoppiare dal punto di vista psicologico, per colpa di colleghi meno brillanti e per questo invidiosi.

                                                                                                    Ciro Crescentini

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