Riceviamo e pubblichiamo integralmente la lettera della navigator campana Ilenia De Coro, in risposta al pesante giudizio espresso da Federico Monga nella sua rubrica sul quotidiano napoletano
Egregio Direttore Monga,
ho letto con forte disappunto la sua risposta, pubblicata nell’edizione del 22 marzo del “Mattino”, alla lettera del signor Antonio Cascone da Padova, che paragonava in senso dispregiativo l’attività svolta dai navigator a quella dei Lavoratori Socialmente Utili. Da lettrice e da navigator, sono rimasta francamente delusa dal modo con il quale Lei ha scritto che gli uni e gli altri sono “pagati per non fare nulla”.
Vede, Direttore, mia madre da giovane ha lavorato in un’azienda che, una volta chiusi i rubinetti della Cassa del Mezzogiorno, l’ha messa alla porta con i suoi colleghi. Per lei la speranza di trovare un altro lavoro, nonostante l’esperienza pluriennale maturata come amministrativa, è stata vana: donna e mamma sono un binomio di penalizzazione che alle nostre latitudini ha il suo peso.
E così, da metà anni Novanta, è diventata anche lei una LSU di una PA della regione Campania. E non è mai stata con le mani in mano. Così come non lo sono stati i suoi colleghi. Per anni, molte attività sono state portate avanti proprio da loro, perché l’Ente non aveva un organico sufficiente a svolgere servizi al cittadino. E per “servizi al cittadino”, parlo di vere e proprie attività normalmente in carico a un dipendente di un ente locale. Ma mia madre e gli altri LSU non erano dipendenti, e non venivano quindi retribuiti come tali, nonostante svolgessero le stesse mansioni. Percepivano solo la “paga oraria” dall’INPS, senza contributi, tredicesima e liquidazione.
A pochi anni dall’età pensionabile finalmente è arrivata la stabilizzazione, e tra qualche giorno mia mamma andrà in pensione: ma se per vivere potrà contare su di una cifra poco superiore al minimo, ciò sarà possibile solo grazie ai contributi precedentemente versati. E si potrà ritenere fortunata rispetto a molti altri suoi colleghi che saranno condannati ad una pensione di miseria, dopo una vita lavorativa di precariato e bocconi amari. E ora queste persone finiscono nel tritacarne, e perché? Per aprire l’ennesima, inutile polemica sui navigator, addirittura descritti come dei privilegiati?
Le accuse che Lei muove nei nostri confronti sono legittime, ma infondate, perché finora non siamo stati parte del gioco di squadra inter-istituzionale per implementare le politiche attive del lavoro. Lo ha ammesso persino il Presidente della Fondazione Adapt Francesco Seghezzi, che in un’intervista al TGcom24 di qualche mese fa ha riconosciuto che non siamo stati messi in condizione di poter fare il nostro lavoro. E questo è un fattore non di poco conto. In aggiunta a ciò, ci si è messa anche la crisi pandemica che ha messo K.O. migliaia di aziende. I risultati raggiunti non sono entusiasmanti, ma bisogna essere intellettualmente onesti e ammettere che di meglio non si poteva fare.
Il ruolo svolto dai navigator sarebbe stato utile all’epoca di mia madre a tutti quelli espulsi dal “mercato del lavoro”, per potervi rientrare. Rappresentiamo una risorsa, perché altre donne possano avere ciò che lei non ha avuto. Caro Direttore, non nego che tra di noi, come tra gli LSU, ci possa essere qualche fannullone. Ma generalizzare non va bene. Parliamo di persone con un semplice contratto co.co.co, che oggi, come ieri, non godono di tutele che dovrebbero invece spettare a tutti i lavoratori. Per questo quel suo sparare nel mucchio è come sparare sulla Croce Rossa.
Ilenia Gemma De Coro
navigator campana e figlia di una ex lsu stabilizzata