Covid, il sindacalismo combattivo proclama lo sciopero generale

Riceviamo e pubblichiamo integralmente

A quasi un anno dall’esplosione della crisi pandemica, continuano ad aggravarsi le condizioni di vita e salariali di milioni di lavoratori.
Le migliaia di contagi e di morti, in primis sui luoghi di lavoro, e la vera e propria catastrofe sanitaria, certificano inequivocabilmente il fallimento rovinoso delle misure di contenimento adottate finora sia sul piano nazionale che nelle sue articolazioni regionali e territoriali.
Al collasso del sistema sanitario provocato da decenni di tagli alla spesa sociale si sommano gli effetti di una crisi economica che investe il capitalismo su scala internazionale e non conosce via d’uscita.

In Italia i costi dell’emergenza sono stati scaricati maggiormente su settori “sacrificabili”, nelle mani della PMI, e di conseguenza sui relativi lavoratori e lavoratrici dipendenti, accelerando processi della crisi in atto già da anni e incrementando disoccupazione, precarietà e disuguaglianze sociali. Tutto questo è avvenuto a colpi di DPCM rivelatosi disastrosi nel contrastare la pandemia perché, al di là di chiudere a singhiozzo bar e ristoranti, hanno sistematicamente ignorato la mattanza di contagi e di morti nelle fabbriche, nei magazzini e tra il personale ospedaliero, nascondendosi dietro i protocolli farsa sulla sicurezza concertati in primavera da governo, imprese e burocrazie confederali e sacrificando la salute e il salario dei lavoratori sull’altare dei profitti di Confindustria e delle grandi multinazionali.

In questi mesi il governo e i vertici dei sindacati confederali si sono vantati di aver difeso l’occupazione grazie alla moratoria sui licenziamenti, quando nella realtà abbiamo assistito a una mattanza di posti di lavoro, tra centinaia di migliaia di contratti a termine non rinnovati, miriadi di lavoratori irregolari e intermittenti finiti per strada, e un aumento dei ritmi e carichi di lavoro per quelli che restano a lavorare. Con buona pace delle misure governative, non poche aziende hanno chiuso o delocalizzato le loro attività (valgano per tutti gli esempi della Whirlpool e della Meridbulloni), con una classe operaia che fatica a reagire o lo fa solo quando è troppo tardi, e uno Stato che è pronto a intervenire con la repressione contro ogni lotta che fuoriesca dagli angusti confini delle finte processioni dei confederali.
I

l governo-Conte si aggroviglia da mesi in giochi di palazzo e dispute su come spartire la torta dei 209 miliardi previsti dal Recovery plan, per garantire alle imprese mezzi di produzione più innovativi, ecologici e competitivi, pagati attraverso un indebitamento che sarà messo in conto alla classe lavoratrice. Nel frattempo, i padroni hanno fatto incetta di sgravi, incentivi, decontribuzioni, ristori di ogni tipo e soprattutto milioni di ore di CIG-Covid (in molti casi generosamente regalata dall’Inps anche in assenza di effettive e comprovati cali di attività).

Intanto gli operai e le classi subalterne vedono i loro salari in caduta libera: al danno del mancato rinnovo dei CCNL scaduti da più di un anno (su tutti il settore metalmeccanico e quello del trasporto merci e logistica) e si aggiunge la beffa dell’intensificazione dei carichi e dei ritmi di lavoro, la oramai cronica moltiplicazione dei contratti precari e a termine e, dulcis in fundo, il tentativo dei padroni di congelare finanche le indennità di vacanza contrattuale…

Emblematico il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, dove non c’è alcun impegno delle aziende per fermare i morti sul lavoro, e ridicoli aumenti salariali (da 40 a 65 euro lordi). In sostanza invece di far saltare il tavolo e alimentare la lotta, i vertici di Fiom-Fim-Uilm hanno nei fatti accettato il diktat padronale di riaprire la trattativa sulla base di una offerta salariale di 65 euro lordi per il 5° livello, (riparametrati per gli altri livelli) di cui 18 euro nel 2021, 21 euro nel 2022, 26 euro nel 2023! Dopo alcune ulteriori riunioni ristrette, in questi giorni (il 12-13 gennaio) sindacati e Confindustria si sono nuovamente incontrati per trovare un accordo, sperando che i metalmeccanici riescano ad ingoiarlo.

Negli scorsi mesi un’ampio settore del sindacalismo di classe e delle avanguardie conflittuali presenti nel paese, dopo aver resistito e lottato in difesa degli interessi dei lavoratori anche nel pieno del lockdown, ha deciso di dar vita a un percorso unitario, l’assemblea nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi, accomunata da un unico obbiettivo: ridare voce, peso e visibilità nazionale alle lotte dei lavoratori, coordinarle e rafforzarle a partire da una piattaforma rivendicativa comune, indipendentemente da ogni appartenenza di categoria o di sigla sindacale.

L’oramai imminente sblocco della moratoria sui licenziamenti annuncia una catastrofe di dimensioni epocali per i lavoratori e per tutti i proletari: attendere passivamente che questa valanga ci piova addosso senza neanche predisporre una ipotesi e un programma di controffensiva, equivale ad accettare una resa senza condizioni ai diktat dei padroni e ai loro piani di macelleria sociale.

‘ per questo che lo scorso 29 novembre un’ampia e partecipata assemblea telematica ha lanciato a larga maggioranza la proposta di uno sciopero generale per il prossimo 29 gennaio e di una mobilitazione nazionale per il 30 gennaio.

Questa proposta ha già registrato in queste ore l’interesse di numerose realtà di lotta territoriali e l’adesione di un pezzo importante del movimento studentesco, ponendo le basi per una mobilitazione generalizzata.

All’attacco a salari e diritti dobbiamo contrapporre una piattaforma generale di lotta capace unificare e compattare il fronte dei lavoratori e degli sfruttati e di lanciare un segnale chiaro al governo-Conte, ai padroni e ai vertici sindacali collaborazionisti:

Per la tutela piena della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro: protocolli realmente vincolanti, con tamponi per tutti e diritto ad astenersi con la garanzia del salario pieno nel caso di violazioni aziendali delle norme-anti Covid;

riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario;
patrimoniale del 10% sul 10% per far pagare la crisi alla classe padronale;

salario medio garantito a tutti i proletari occupati e disoccupati, eliminando contratti precari e paghe da fame;

regolarizzazione di massa degli immigrati, slegata dal ricatto del lavoro, abolizione di tutta la legislazione speciale sull’immigrazione;

contro la precarizzazione e le discriminazioni salariali e contrattuali nei confronti delle donne: per il potenziamento del welfare, contro la logica della conciliazione tra lavoro domestico ed extra-domestico.

In vista dello sciopero del 29 e della manifestazione del 30 gennaio, per costruire insieme queste iniziative, per proseguire il confronto con tutti i lavoratori e le avanguardie sindacali ovunque collocate e rafforzare un percorso comune di lotta per i mesi a venire, è convocata per sabato 16 gennaio alle ore 10,30 su Zoom la terza assemblea nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi.

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