Welfare, la Campania è la Regione che spende ed investe di meno

Solo 55 euro lordi pro-capite, snobbato il sociale

La Campania, con una spesa pro-capite di 55 euro lordi, è la regione italiana che investe di meno in materia di politiche sociali regionale e di erogazione di servizi alla persona e alla famiglia. Una bella e sostanziale differenza con le regioni del Nord. Il Veneto, che con una spesa pro-capite di 266 euro lordi garantisce un ottimo welfare per i cittadini. I dati sono stati forniti dalle organizzazioni sindacali nazionali dei pensionati di Cgil, Cisl e Uil e dall’associazione “Altro Consumo”. Nel dettaglio la Campania, a fronte di una popolazione 5.812.962 persone, ha una spesa sociale 319.071.362 euro. Il “sociale” viene snobbato dalle istituzioni regionali e locali. Scelte politiche ed amministrative producono effetti dirompenti per i lavoratori e le famiglie degli utenti. I tagli hanno cancellato molti servizi di tutela alla persona. Scelte suggerite dai burocrati e tecnocrati degli enti locali, preoccupati solo di fare quadrare i conti e di gestire la contabilità ignorando la grave situazione degli indigenti. I tagli hanno prodotto la soppressione di alcuni progetti che da anni mettevano in rete organizzazioni sociali e comuni e davano ospitalità ai senza dimora in bisogno di ricovero temporaneo. I numeri sono spietati. Effetti dirompenti anche a Napoli. L’amministrazione comunale di Palazzo San Giacomo, investe nel welfare poco più il 50 per cento della spesa media nazionale, ossia 80 euro procapite per abitante, rispetto ai 165 euro nazionali. Le aziende e le cooperative sociali, gli operatori pagano le conseguenze dei tagli e delle procedure burocratiche. Sono circa 9 mila i lavoratori e gli operatori che garantiscono l’assistenza a 50 mila utenti in tutta la Campania. Il settore delle politiche sociali è in ginocchio. Rischiano di fallire aziende che garantiscono attività di sostegno e di assistenza ai disabili, minori, anziani, tossicodipendenti, immigrati, donne vessate. A decine e decine si contano le case-famiglia, comunità-protette e case-alloggio in chiusura. Spesso, le imprese e le cooperative sociali hanno investito, elargito risorse, sostituendo la pubblica amministrazione. Oggi la situazione non è più sostenibile. Da anni gli operatori sociali napoletani sono costretti a scendere in piazza, attivare iniziative di lotta per fare emergere la drammatica realtà del settore. Nella sola Campania le organizzazioni del Terzo Settore denunciano un credito di 500 milioni di euro verso la Regione e di 30 milioni nei confronti del Comune per servizi già erogati, ma mai pagati. E’ questo uno dei primi settori, in particolare al Sud, ad aver sperimentato gli effetti nefasti della precarietà contrattuale introdotti dal “Pacchetto Treu” prima e successivamente dalla legge Biagi. Nella nostra regione, un consistente numero di lavoratori del sociale ha un contratto precario e percepisce stipendi al di sotto dei 1000 euro al mese. Questo avviene principalmente perché il costo orario offerto in gare d’appalto costantemente al ribasso è inferiore a quanto sarebbe necessario per applicare il Contratto nazionale. I meccanismi di controllo inesistenti.

Ciro Crescentini

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