
Dopo la stagione di arresti e condanne di un decennio fa, lo scenario sembra silente: il timore delle associazioni è che molti commercianti preferiscano sottostare alle richieste dei clan. Lanciato un concorso nelle scuole per una campagna contro le estorsioni
NAPOLI – Non più la richiesta di denaro per la “messa a posto”, ma l’imposizione di servizi e forniture agli operatori economici. E’ un possibile scenario delle estorsioni al Vomero, il quartiere dello shopping. L’analisi, sul quotidiano Metropolis Napoli, parte dal crollo delle denunce, dopo la primavera anti racket conclusa con arresti e condanne per centinaia di anni, ormai quasi un decennio fa. Avanza il sospetto che dietro il silenzio si celi la nuova frontiera del pizzo. Nel quartiere collinare quasi due anni fa è nata l’associazione Maurizio Estate Vomero-Arenella, che porta il nome del giovane ucciso 23 anni fa a Chiaia per aver sventato uno scippo fuori all’autolavaggio dove lavorava. A costituirla 12 imprenditori della zona selezionati per una missione non semplice dalla Fai, la federazione antiracket fondata da Tano Grasso. Hanno tutti alle spalle storie nel segno dell’impegno per la legalità. Tra loro Davide Estate, nipote di Maurizio, presidente dell’associazione.
“Stiamo cercando di creare un rapporto di fiducia col territorio – spiega il giovane imprenditore – così da incentivare i commercianti alla denuncia”. Davide spiega che al Vomero “Denunce contro le estorsioni sono pochissime: questo dato è preoccupante, in passato c’era una pressione criminale e secondo me c’è continuità. Questo ci deve far riflettere. Non dobbiamo cedere all’illusione che vada tutto bene”. Una pressione sull’area collinare emerge anche dalle ultime inchieste della Dda napoletana. A dividersi l’egemonia degli affari illeciti, sarebbero storici clan come i Cimmino e i Polverino, che da Marano avrebbero ormai esteso i tentacoli nel quartiere. Ma sul tavolo resta il dato dell’esiguo numero di denunce. “Dobbiamo domandarci – aggiunge Estate – come il fenomeno del racket si è evoluto, virando verso forme mascherate da forniture o manodopera”. Un sospetto confermato dal vicepresidente Davide Bile, imprenditore del ramo vigilanza che fece arrestare due anni fa gli estorsori. “Fino a pochi anni fa – racconta Bile – c’era l’imposizione del pagamento della cifra al commerciante. Oggi sembra che la strategia sia più imprenditoriale, con l’imposizione di forniture e servizi, e questo può spiegare la caduta verticale delle denunce”. A scoraggiare potrebbero essere anche risultati contraddittori nel contrasto ai clan. Come l’altalena di arresti e scarcerazioni seguita al blitz che a luglio portò in carcere il capoclan Luigi Cimmino, liberato dalla Cassazione a dicembre. “Chi vuoi che denunci se la giustizia non funziona – dichiara Luigi Cuomo, presidente di Sos Impresa . O gli inquirenti o i giudicanti dovrebbero fare attenzione. I commercianti omertosi sono un problema ma anche lo Stato quando non funziona”. Domenico Di Pietro, dirigente Fai, aggiunge: “Il problema del racket nel quartiere Vomero/Arenella. sembra non avvertito, abbiamo pochissime denunce. Non so se perché non esiste il fenomeno o perchè non denunciano, temo più la seconda ipotesi ma non ho riscontri obiettivi, è una sensazione”.
SLOGAN ANTI RACKET, CONCORSO TRA SCUOLE – Un Concorso di idee rivolto alle scuole per educare alla cultura anti-pizzo. Fai, associazione Maurizio Estate e V Municipalità lanciano negli istituti superiori di Vomero e Arenella “Pago chi non paga”, un competizione sui temi dell’antiracket e del consumo critico nel contrasto alle mafie. Ogni classe può presentare fino a 3 progetti, utilizzando mezzi di comunicazione diversi come slogan, foto o contributi video. Gli obiettivi: spronare esercenti e imprenditori a denunciare il racket e l’usura; Incentivare i cittadini al Consumo Critico. “Negli incontri con i ragazzi nelle scuole – spiega la Fai – c’è sempre una domanda: “cosa possiamo fare noi, che siamo studenti e non abbiamo un negozio?” Chi non è imprenditore come può contribuire alla lotta al pizzo? Semplice: poiché tutti siamo consumatori, c’è un modo per diventare consumatori consapevoli. In terra di mafia il dove si compie l’acquisto di un bene o di un servizio non è mai una fattore neutro: se si compra un paio di jeans presso un negozio che regolarmente paga il pizzo alla camorra, di fatto, il consumatore inconsapevolmente contribuisce a finanziare l’organizzazione mafiosa. Una parte del suo denaro – aggiunge la federazione antiracket – finisce nelle casse degli estorsori con l’effetto di dare ricchezza alla mafia e, soprattutto, di rafforzare il suo controllo del territorio. Allora, acquistare in un negozio che ha denunciato i mafiosi o non paga il pizzo garantisce al consumatore che nessuna parte del suo denaro giungerà agli estorsori. Si attiva, così, anche la responsabilità individuale del consumatore. Oggi grazie alle associazioni antiracket è disponibile un elenco di negozi dove poter acquistare in tutta tranquillità”. I contributi dovranno pervenire entro e non oltre il 5 Febbraio 2016 all’indirizzo mail: [email protected]
Nei mesi seguenti la campagna prenderà vita. Gli organizzatori provvederanno alla stampa di manifesti, brochures, presentazioni pubbliche e condivisione sui social media del progetto vincitore.