Tette per Tette (quarantanove)

L’hashtag #escile, quello che invita a tirar fuori le tette, per intenderci, sbarca anche a Napoli, diventando virale tra le studentesse del Suor Orsola Benincasa

Oggi parliamo di tette.

A chiunque frequenti i social network per almeno un paio d’ore al giorno, non sarà sfuggita questa bombastica aggressione mediatica: ancora seni al vento, si dirà.

Allora che c’è di nuovo? C’è di nuovo che a questo giro per trovare una ragion d’essere che giustificasse l’ennesima esibizione grottesca, i decollete sono stati arricchiti dal marchio di fabbrica. Come golosi provoloni IGP, le mammelle delle nostre studentesse si affacciano dagli schermi dei PC, ricordando a chi vi si imbatte che appartengono al Politecnico di Milano, alla Luiss, alla Bocconi, e da qualche settimana anche alla nostrana Suor Orsola Benincasa.

Grazie a questa masto-mappatura scopriamo che in Lombardia c’è un’alta percentuale di tette rifatte, in Campania ce le abbiamo opulente e naturali, in Sicilia sono a forma di pera, a Roma sono piccine ma ben fatte.
Al grido di #escile, l’esercito delle suffragette caccia i gioielli di famiglia: le più pudiche tengono su il reggiseno di cotone, le più audaci, intrise della peggiore letteratura erotica anni ’80, si coprono i capezzoli con la panna montata.

Alla Ca’Foscari, invece, l’esibizionismo cambia faccia, o meglio, la faccia ce la mette proprio: le prime della classe colgono al volo l’assist delle tettone e trasformano l’hashtag in #escilo, sottinteso, il libro.

In altre parole: mettetevi a studiare, o voi che perdete il tempo a farvi i selfi e pubblicarli su facebook, mica come noi. Niente tette ma decine e decine di visi dai pori dilatati che pur invocando un intento più nobile non riescono comunque a sottrarsi alla tentazione di far parte di questo grosso gioco, conquistando di fatto, anch’esse, i famosi 15 minuti di celebrità profetizzati da Warhol.
E come si conviene ad un paese dove la parità dei sessi è al primo posto, anche i maschi sono saliti sul treno in corsa, uscendo quadricipiti scolpiti e culi sodi come meloni.

Dimenticandoci per un attimo dello stupro esercitato su un povero, indifeso verbo intransitivo, dall’alto della mia volenterosa seconda, trovo abbastanza squallido questo fenomeno, che se le più disinvolte vogliono far passare per pura goliardia additando di bigottismo chi le contesta, resta, di fatto, un’operazione senza alcun senso che sporca il lavoro, lo studio l’impegno di tanti, di fatto svilendo e riducendo l’istituto dell’Università ad un metaluogo dove si pensa di poter conquistare terreno grazie alla misura di reggiseno.
Un amico professore, sensibile al fascino femminile ma persona seria al di qua della cattedra, mi ha fatto notare come non sia affatto un caso che questa moda sia nata proprio all’Università Bocconi, quella settaria fucina di cervelli che sforna i membri della futura classe dirigente che trova a specchiarsi, riferirsi, solo a se stessa, preda di una nuova forma di onanismo.
Dalla casta degli amministratori delegati, insomma, siamo passati alla casta delle tette, e questo esclusivismo sessuale, è chiaramente una conseguenza di quello che il mio prof, senza rischio di errore, chiama Effetto Arcore.

Il sesso – qui rappresentato da tette e culi (a spulciar bene nelle gallery si trova anche qualche mammella posteriore) diventa metafora della vita a raccontare non tanto che vince chi ce le ha più grosse, quanto che oggigiorno il potere, quello vero si estrinseca attraverso il sesso quello crudo, oggettivizzante, disumanizzato, spogliato da qualunque emozione, un sesso che nega l’amore, nascondendosi dietro un presunto anonimato che è in realtà l’espressione più alta della forza, della prepotenza, della sete di dominio.

Sarah Galmuzzi

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