Seid Visin, una fine che interroga le nostre coscienze

Il padre del 21enne ex calciatore di Nocera Inferiore: “Mio figlio non si è suicidato perché vittima di razzismo”. Ma la sua lettera è comunque un atto d’accusa su quanto avviene in Italia verso chi ha la pelle nera

“Mio figlio non si è ammazzato perché vittima di razzismo. È sempre stato amato e benvoluto, stamane la chiesa per i suoi funerali era gremita di giovani e famiglie”. Le parole di Walter Visin sono un punto fermo, nella ricostruzione sul suicidio di Seid Visin. Il 21enne si è tolto la vita giovedì, a Nocera Inferiore. Nella città dell’Agro, in provincia di Salerno, era giunto a 7 anni, adottato da una coppia del posto. Seid, di origine etiope, era un grande talento del calcio. Nel suo passato, gli anni al Nord, da baby giocatore nei vivai di Inter e Milan. Poi, 4 anni fa, il rientro in Campania, con una parentesi nel Benevento. Il ritorno ad una vita da ragazzo comune: lo studio, i primi lavori. Frequentava la facoltà di giurisprudenza e, fino a prima del covid, militava in una formazione locale di calcio a cinque, l’Atletico Vitalica. Con una crepa nell’anima, però. Una ferita nel profondo di un giovane generoso, ma molto sensibile. Di questo disagio, tutta Italia si è accorta oggi, ai funerali. Quando hanno letto una lettera di due anni fa, scritta ad alcuni amici e alla sua psicoterapeuta. Seid si sfogava per i pregiudizi, talvolta appena percepibili. Piccole e grandi discriminazioni, di cui è oggetto chi ha la pelle scura. “Adesso, ovunque io vada, ovunque io sia, ovunque mi trovi – scriveva – sento sulle mie spalle, come un macigno, il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone”. Non mancavano accenni al contesto storico del momento. “Dinanzi a questo scenario socio-politico particolare che aleggia in Italia, io, in quanto persona nera – affermava Seid- , inevitabilmente mi sento chiamato in questione. Io non sono un immigrato. Sono stato adottato quando ero piccolo. Prima di questo grande flusso migratorio ricordo con un po’ di arroganza che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, ovunque mi trovassi, tutti si rivolgevano a me con grande gioia, rispetto e curiosità. Adesso, invece, questa atmosfera di pace idilliaca sembra così lontana; sembra che misticamente si sia capovolto tutto, sembra ai miei occhi piombato l’inverno con estrema irruenza e veemenza, senza preavviso, durante una giornata serena di primavera”. Queste righe sono un pugno nello stomaco. “Qualche mese fa – aggiungeva il giovane – ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, prevalentemente anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non bastasse, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche la responsabilità del fatto che molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro. Dopo questa esperienza dentro di me è cambiato qualcosa, come se mi vergognassi di essere nero, come se avessi paura di essere scambiato per un immigrato, come se dovessi dimostrare alle persone, che non mi conoscevano, che ero come loro, che ero italiano, che ero bianco”. 

La lettera sembra un atto d’accusa. “Con queste mie parole crude, amare, tristi, talvolta drammatiche – concludeva il ragazzo-, non voglio elemosinare commiserazione o pena, ma solo ricordare a me stesso che il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’acqua in confronto all’oceano di sofferenza che stanno vivendo quelle persone dalla spiccata e dalla vigorosa dignità, che preferiscono morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaporare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente “Vita””. Per il padre quello «fu uno sfogo, era esasperato dal clima che si respirava in Italia. Ma nessun legame con il suo suicidio, basta speculazioni”. Invece, la vicenda ha riaperto lo scontro, anzitutto politico, sull’intolleranza nel Paese.

“Leggete questa storia, provate a non piangere. Provate a trattenere la rabbia, la voglia di spaccare tutto, di distruggere questo mondo di merda che abbiamo creato negli ultimi anni – scrive sui social Roberto Saviano – E ora andate sulle pagine Facebook dei due più grandi pagliacci della nostra politica, Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che ci fanno vergognare di condividere con loro la cittadinanza. Sì, pagliacci: nulla di quanto blaterano è vero, nessuna loro proposta è realizzabile, perlomeno in uno Stato di Diritto. Andate sulle pagine di quei due orgogliosi razzisti: non troverete una parola di pietà. Non una carezza. No, decisamente: su quelle pagine l’umanità e la pietà sono morte, da sempre. Parlano di Dio, di Madonne, di cuore di Gesù, ma praticano crudeltà e spietatezza. Due bestemmiatori. Peccato Seid, se avessero detto che eri un ladro, uno stupratore, o anche un ubriacone, ecco, allora ti saresti meritato l’attenzione di questi due sciacalli. Anche se poi tutto si fosse rivelato falso o una montatura non ti avrebbero chiesto scusa. Loro sono così: macinano voti sulla sofferenza, sulla discriminazione e sul tradimento costante dei valori della Costituzione. Ma nessuno glielo dice, nessun lo urla. E loro ci impongono la loro spaventosa normalità. Meloni e Salvini, un giorno farete i conti con la vostra coscienza, perché la sadica esaltazione del dolore inflitto ai più fragili prima o poi si paga. E vi auguro sinceramente che siano i vostri figli a vergognarsi di voi e a non darvi tregua. Per sempre”. Il leader della Lega, che aveva già pubblicato un post sottolineando che “chi ancora distingue o disprezza un essere umano in base al colore della pelle, è un cretino”, aggiunge a stretto giro un post scriptum diretto proprio allo scrittore: “Agli sciacalli alla Saviano che cercano di fare polemica politica anche su una tragedia come questa, smentiti dai genitori di Seid che fanno sapere che ‘il suo gesto estremo non deriva da episodi di razzismo’, ricordo infine che il primo senatore nero eletto nella storia della Repubblica Italiana, l’amico e imprenditore di origine nigeriana Tony Iwobi, è stato candidato ed eletto con la Lega. C’è chi parla di integrazione e chi la realizza”. Per il presidente di Fratelli d’Italia “il suicidio di Seid è una tragedia che lascia senza fiato e di fronte alla quale ogni parola è superflua. Oggi è il giorno del silenzio, del dolore e del cordoglio”. “Il mio abbraccio – afferma Meloni in un post – va ai suoi genitori, ai suoi amici, alla comunità di Nocera Inferiore nella quale era cresciuto e a tutti coloro che hanno avuto il dono di conoscere e apprezzare un ragazzo meraviglioso come lui. Sarebbe ancora più terribile se la sua tragica scelta fosse stata mossa da schifosi episodi di razzismo nei suoi confronti. Anche se i suoi genitori lo escludono, è giusto tenere alta l’attenzione su ogni inaccettabile razzismo, ma anche non tollerare vergognose e interessate forme di sciacallaggio fatte sulla morte di un giovane ragazzo. Ciao Seid”. La fine di Seid, comunque sia, interroga le coscienze di tutti: quanto facciamo contro il razzismo?

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