Precarietà e suicidi, i dati allarmanti che nessuno vuol vedere

Negli ultimi tre anni 60 lavoratori, disoccupati e precari campani sono morti per suicidio e almeno 200 hanno tentato di togliersi la vita. Venti lavoratori e disoccupati si sono tolti la vita nella provincia di Napoli

La precarietà e la disoccupazione provocano suicidi e depressione. Aumentano anche le malattie in cui esiste un rapporto tra patologia e lavoro, soprattutto lavoro precario, sfruttato, senza diritti: stress, violenze psicologiche, tumori ai polmoni, al naso, alla vescica e leucemie. Malattie gravi o mortali malattie che provocano danni permanenti. Drammatici i dati forniti dalle organizzazioni sindacali confederali, indipendenti e di base e dall’associazione italiana psichiatri. Negli ultimi tre anni 60 lavoratori, disoccupati e precari campani sono morti per suicidio e almeno 200 hanno tentato di togliersi la vita. Venti lavoratori e disoccupati si sono tolti la vita nella provincia di Napoli. Una strage. Secondo i psichiatri delle Asl e dei centri di psicopatologie del lavoro, almeno 2 mila precari, cassintegrati, licenziati, vittime di soprusi hanno contratto, in primis la depressione, e sono attualmente in cura presso le strutture sanitarie della Campania. Tantissimi si sentono soli, umiliati. Perdere il lavoro, significa perdere un diritto di cittadinanza. I media, i mezzi di comunicazione di massa ne danno notizia quasi fosse un bollettino di guerra, ma senza andare troppo in profondità. Qual è la vera causa di tanti suicidi o tentativi di suicidi sui posti di lavoro? In primis la mancanza di lavoro e di reddito si impone un elemento comune, a dispetto di tutte le differenze individuali. A chi lo sceglie, il suicidio appare come l’unica forma possibile di rivolta individuale contro l’ingiustizia. “La depressione, il suicidio hanno delle cause specifiche – ha più volte evidenziato Giovanni Nolfe, psichiatra, responsabile del servizio di psicopatologia del lavoro dell’Asl Napoli 1 Centro – La perdita del lavoro è perdita di dignità, di identità, perchè questo sistema produttivo ed economico non permette di trovare subito uno nuovo. Dal nostro punto di osservazione, abbiamo avuto modo di poter valutare sul campo, l’estensione progressiva del disagio al settore del lavoro femminile, la cronicizzazione dei disturbi. La diffusione dei casi di depressione è stata da noi individuata come l’area di patologia più intimamente connessa alla sofferenza lavorativa”.

Ciro Crescentini

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