In Italia non c’è la legge anti-mobbing: aumentano le violenze sui posti di lavoro

Tantissime le persone in cura presso i centri di psicopatologia e disadattamento lavorativi

L’Italia è uno dei pochi Paesi europei ancora privi di una legge anti-mobbing. Il termine mobbing (dall’inglese to mob, “aggredire”) identifica un sistema basato sulle vessazioni, soprattutto psicologiche, contro una singola persona, esercitate attraverso continui comportamenti aggressivi e persecutori da uno o più colleghi, spesso superiori di grado o datori di lavoro (in questo caso si parla di bossing, da to boss, “comportarsi da capo”), con l’intento di portare la vittima allo stremo e indurla alle dimissioni.

Quando le vessazioni sono un po’ meno sistematiche si parla di straining (da to strain, “costringere”). Una volta su due l’aguzzino è il capo diretto, spesso con la complicità di alcuni colleghi che sperano di ottenere vantaggi personali.

Tuttavia nel Codice penale manca un riferimento a questo fenomeno (è assente persino in quello civile).

Tante le vittime.  Lavoratori che ogni giorno subiscono prese in giro e rimproveri e quelli che all’improvviso, senza giustificazione, si ritrovano a ricoprire un ruolo che non gli appartiene. Ancora più squallido il caso di chi viene licenziato ingiustamente,  reintegrato dal giudice e al rientro al lavoro trova come postazione una scrivania di cartone ubicata dentro un deposito. Infine chi dalla busta paga vede sistematicamente sparire la voce ‘straordinari” e altrettanto sistematicamente viene costretto a saltare i riposi o a rinunciare alle ferie.

Alcuni casi di mobbing andrebbero affrontati  e perseguiti come reati di tortura.  E’ uno stupro morale che può produrre effetti devastanti sulle persone,  ferite che non rischiano di non sanarsi mai, un punto di non ritorno in termine di stress e di lavoro correlato.

Migliaia di lavoratori maltrattati sono in cura presso i rari centri pubblici di disadattamento lavorativo e di psicopatologia del lavoro (soprattutto a Milano,  Monza, Pavia, Pisa, Roma e Napoli). Arrivano lì quando il loro equilibrio psicofisico è compromesso dopo aver subito per moltissimo tempo ingiustizie costanti, con gravi ripercussioni sulla vita lavorativa e su quella famigliare.

Il “sistema”  è in parte legato alla crisi economica e si è rafforzato con le ultime leggi che avallanno e legittimano precarietà e licenziamenti facile. Il datore di lavoro costringe un dipendente ad andare via, sottoponendolo a continue umiliazioni.  Il mobbing, dunque, come ‘strumento di gestione dell’impresa” a costi zero: perché è più facile convincere il lavoratore ad andarsene piuttosto che licenziarlo”.

Il vero problema è dimostrare l’esistenza del mobbing, in assenza di una legge che lo qualifichi come reato, dunque perseguibile penalmente. Attualmente la vittima deve produrre le prove: testimonianze, registrazioni, effettivo declassamento professionale. E non è per niente facile – perché i datori di lavoro stanno molto attenti e alla persona vessata, torturata viene a mancare la solidarietà dei colleghi che dovrebbero sostenerlo.

Valeria di Lorenzo

Un disegno di legge sul mobbing, la prima firmataria è la deputata Rina Valeria Di Lorenzo, giace ancora nel cassetto, nonostante siano terminate da mesi le audizioni in XI Commissione Lavoro alla Camera. “Il mobbing è un fenomeno profondo e diffuso che non può essere minimizzato e la tutela dei lavoratori sottoposti a violenze psicologiche e vessazioni reiterate rappresenta la priorità in uno Stato che mette al centro la dignità e la salute dei suoi cittadini. Occorre una legge sul mobbing ed è necessario che tutte le forze politiche in Parlamento ne siano consapevoli” – afferma Rina Valeria Di Lorenzo

Giuliana Quattromini

Significativo il commento dell’avvocata napoletana Giuliana Quattromini: Vorrei sottolineare che sono per lo più le lavoratrici ad essere destinatarie di condotte vessatorie e discriminatorie. Ancora oggi – aggiunge Quattromini –  si pratica una sorta di apartheid di fatto nei confronti della metà della popolazione attiva italiana, in termini di minor accesso alla formazione e all’occupazione, nonché in termini retributivi e di carriera. Nondimeno ciò non trova riscontro nella casistica giurisprudenziale, scarsa anche perché la precarizzazione nei rapporti di lavoro scoraggia le denunce e le azioni in giudizio e produce devastanti conseguenze in termini di insicurezza, competitività al ribasso, difficoltà di conciliare famiglia e lavoro etc – conclude Quattromini –  Le donne, quindi, costituiscono facile bersaglio di mobbing perché più facilmente ricattabili”.

Ciro Crescentini

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