Caivano, blitz dei carabinieri: 9 fermi. Coinvolti anche tre esponenti di Italia Viva: “partecipavano alle estorsioni del clan”

Accuse di associazione mafiosa, estorsione e corruzione

Alcuni esponenti dell’ex amministrazione del Comune di Caivano, oggi commissariato, sono coinvolti in un’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli che ha portato i carabinieri del nucleo investigativo di Castello di Cisterna a dare esecuzione, questa mattina, a un decreto di fermo nei confronti di nove soggetti.

L’operazione si è svolta tra i comuni di Caivano, San Marcellino e Aversa, in provincia di Caserta, dove sono state anche eseguite numerose perquisizioni.

Le indagini riguardano soggetti accusati dei reati di associazione di tipo mafioso, estorsioni aggravate dal metodo mafioso, corruzione e altro.

Tra loro anche esponenti di Italia Viva, che era in maggioranza con il precedente sindaco di Caivano. A essere fermati sono stati tra gli altri Armando Falco (segretario cittadino del partito), Giovanbattista Alibrico (consigliere comunale), Carmine Peluso (ex assessore), Martino Pezzella e Vincenzo Zampella (entrambi tecnici comunali). Gli altri fermati sono Raffaele Bervicato (braccio destro del capoclan Antonio Angelino), Massimiliano Volpicelli (incaricato di attuare le direttive di Angelino), Domenico Galdiero Raffaele Lionelli (entrambi accusati di aver messo in atto le estorsioni).

Tra le accuse contestate ai tre politici locali la più grave è la partecipazione all’associazione camorristica che faceva capo ad Antonio Angelino e che opera sul territorio di Caivano e nelle sue vicinanze al fine di acquisire il controllo delle attività economiche anche attraverso estorsioni, condizionare le gare di appalto del Comune di Caivano, a garantire l’impunità degli affiliati. Se Peluso, secondo l’accusa, ha partecipato alle attività illegali in qualità di assessore (ai Lavori pubblici prima e al Commercio poi), Alibrico e Falco stando agli atti dell’inchiesta per conto del clan avvicinavano le vittime di estorsione – cioè coloro che si erano aggiudicati i lavori pubblici – per riscuotere le somme estorte (una parte rimaneva a loro). Non solo informavano anche gli altri componenti dell’associazione mafiosa sulle imprese che avrebbero vinto l’appalto e diventavano intermediari tra il clan e le imprese. E – sempre secondo gli inquirenti – condizionavano anche le gare d’appalto, con la collaborazione del funzionario comunale.

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