Salario minimo garantito contro la povertà operaia

E’ in vigore  in 22 Stati Membri dell’Unione europea

Lunedì 6 maggio è prevista la riunione del tavolo tecnico tra  governo e sindacati sul salario minimo. Al centro della discussione le norme del disegno di legge presentato dal M5s in Senato che il governo ha adottato come testo guida. Secondo l’articolo 36 della Costituzione a ciascun lavoratore dovrebbe essere garantita una retribuzione “proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Secondo l’OCSE in Italia un lavoratore su 4 non ha un contratto collettivo che lo garantisca. Precari, tirocinanti, lavoratori della Gig economy, milioni di persone che hanno compensi al di sotto della soglia di povertà. Questa tragedia sociale è stata generata dall’incapacità delle organizzazioni sindacali di adeguarsi ai mutamenti del mercato del lavoro, lasciando senza rappresentanza lavoratori autonomi, indipendenti,  precari e allo stesso tempo dalla deregulation introdotta in anni recenti dai vari Governi del Paese nei rapporti tra datori di lavoro e dipendenti, a tutto vantaggio dei primi. La giustificazione era che inserendo molta “flessibilità” sarebbero aumentati i posti di lavoro e sarebbe cresciuta l’economia e il benessere collettivi. Questi anni hanno dimostrato che non è così. Il salario minimo legale  è una soglia minima nella retribuzione e al di sotto della quale non si può scendere. Seppure già sia presente in numerosi Paesi, l’Italia è invece tra quelli che non la possiedono e in virtù di questo ci si rifà per la soglia minima ai contratti di lavoro collettivi. Questi ultimi sono aumentati in maniera notevole negli ultimi anni, ma differiscono tra loro al loro interno, ovvero per uno stesso lavoro possono esserci delle differenze di retribuzione che vanno dal 9% al 21%.

Il salario minimo esiste in 22 Stati Membri dell’Unione europea. Questi sono secondo Eurofound l’agenzia europea per il miglioramento delle politiche sociali e occupazionali, i dati delle remunerazioni mensili fissate dal salario minimo nei Paesi europei: in testa c’è il Lussemburgo con 1.998,59 euro al mese, seguito da Irlanda (1.614 euro), Olanda (1.578 euro), Belgio (1.562,6 euro) e Francia(1.498,5 euro). In fondo alla classifica troviamo Romania (407,3 euro), Lituania (400 euro) e Bulgaria (260,8 euro). In Italia, Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia non esiste uno stipendio minimo stabilito per legge perché i salari vengono stabiliti dai contratti collettivi.

Quella per l’istituzione del salario minimo orario è una storica battaglia del MoVimento 5 Stelle. “Infatti questo tema per noi centrale, che vede l’Italia indietro rispetto ai principali partner europei, era già presente nel primo disegno di legge per l’istituzione del Reddito di cittadinanza (2013). Proprio grazie al MoVimento 5 Stelle,  il tema del salario minimo orario è entrato nel Contratto di Governo e il 12 luglio 2018 abbiamo depositato al Senato un disegno di legge a riguardo – spiegano gli esponenti parlamentari pentastellati –  Con la nostra proposta nessun lavoratore potrà guadagnare meno di quanto previsto dai contratti collettivi nazionali più rappresentativi e, comunque, mai meno di 9 euro lordi all’ora“.  Si tratta di uno strumento di contrasto al dumping salariale che già i nostri padri costituenti volevano e che infatti, proprio affondando le sue radici nell’art. 36 della Carta (“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”)per  contrastare il fenomeno dei working poors, cioè quei lavoratori che, nonostante abbiano un impiego, sono costretti a vivere in condizioni di povertà. Come testimoniato dal rapporto Eurostat, oggi in Italia quasi il 12% dei lavoratori dipendenti riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali contro una media Ue del 9,6%.

A ciò si aggiungono i dati sulle prospettive di vita, che dicono che ben 5,7 milioni di giovani rischiano di avere nel 2050 pensioni sotto la soglia di povertà – osservano gli esponenti del Movimento 5 Stelle –  Questo per noi non è più accettabile. Soprattutto se confrontiamo la nostra situazione con quello che avviene in Europa. Infatti in 22 Paesi Ue su 28 il salario minimo è già realtà. E anche laddove non c’è, come nei paesi scandinavi, esistono sistemi di contrattazione collettiva forti che garantiscono salari minimi ben al di sopra della soglia di povertà”. Nel 2015 pure la Germania ha colmato il gap, introducendo un salario minimo che nel 2018 si è attestato a 8,84 euro all’ora (1.497,50 euro mensili) che saliranno a 9,19 euro nel 2019 e 9,35 nel 2020. In Francia invece l’anno scorso il salario minimo stabilito è stato pari a 1.498,50 euro mensili. “In Italia invece chi ha governato prima di noi, soprattutto la sinistra, non ha fatto niente per dare maggiore dignità ai lavoratori attraverso l’istituzione di un salario minimo orario” – evidenziano gli esponenti del Movimento 5 Stelle.

Così oggi in Italia esistono quasi 800 contratti collettivi nazionali ma ci sono zone dove il reddito medio mensile di un lavoratore dipendente è di 520 euro. “Con la nostra proposta, da una parte diamo dignità a quasi 3 milioni di lavoratori che avranno un incremento medio di retribuzione di 1.073 euro all’anno – sottolineano gli esponenti pentastellati –  Dall’altra, stabiliamo che i contratti di riferimento sono quelli firmati dai sindacati più rappresentativi a livello nazionale mettendo così fine al fenomeno dei “contratti pirata” (quelli sottoscritti da sigle sindacali con pochi iscritti ma che fanno dumping)”.  Per quanto riguarda le imprese, invece, non c’è nulla da temere: un lavoro pagato bene è un lavoro più produttivo. Un’economia avanzata non può andare avanti con lavoretti precari e sottopagati. Serve un nuovo patto tra Stato, Imprese e Lavoratori.  Il salario minimo ha effetti positivi sull’economia perché significa più certezza nel futuro (compresa una pensione dignitosa domani), quindi più potere d’acquisto per i lavoratori, più consumi, oltre ad una generalizzata riduzione delle diseguaglianze.

                                                                                                                                Ciro Crescentini

 

 

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