L’addio a Giovanni Battiloro, Matteo Bertonati, Gerardo Esposito e Antonio Stanzione. Dai familiari il rifiuto alle esequie solenni a Genova, dove sfileranno le più alte cariche istituzionali
Dolore e rabbia, strazio e accuse. Tutto si fonde , nel lutto composto di Torre del Greco, ai funerali dei quattro ragazzi morti nel crollo del Ponte Morandi a Genova. E dall’altare l’arcivescovo Crescenzio Sepe non la manda a dire: “Sono stati uccisi dalla mano dell’uomo, non si può morire per l’incuria”. Agli occhi dei familiari e delle migliaia di presenti, dentro e fuori la basilica di Santa Croce, l’incuria ha il volto delle istituzioni. L’ultimo saluto avviene a casa, non casualmente. A mille chilometri da Genova e dai solenni funerali delle altre vittime, che domani vedranno sfilare le più alte cariche di Stato. “Una cerimonia farsa” la bolla Roberto Battiloro. È un tecnico Rai ed è il padre del videomaker Giovanni Battiloro, inghiottito dal crollo con gli amici Matteo Bertonati, Gerardo Esposito e Antonio Stanzione. Lontano da parate istituzionali sarà domattina, a Casalnuovo, pure l’addio a Gennaro Sarnataro, autista di una ditta di trasporti ortofrutticoli di Scafati. E tra le navate della chiesa lo sgomento si somma all’ira, ma senza rinunciare a una lezione di dignità collettiva. Infatti, viene rimosso uno striscione all’esterno, dove si leggeva “Antonio, Matteo, Giovanni e Gerardo… non è stato il fato ma lo Stato!”. Ne verrà issato un altro alla fine, quando i feretri usciranno tra applausi, palloncini bianchi e le note di Knockin’ on Heaven’s Door di Bob Dylan: reciterà “Non esiste perdono senza giustizia”.
Nel mezzo, passano tre ore in cui risuonano frasi crude. Bersaglio è chi avrebbe dovuto garantire sicurezza, ma più genericamente le istituzioni, su cui pende il sospetto di prendersi sempre più di quanto diano. E ora si prendono le vite di quattro giovani.
“Mio figlio è stato ammazzato, è un omicidio di Stato – dice Roberto Battiloro – È vittima di un destino beffardo ma anche di chi doveva tutelare le vite dei cittadini”. L’uomo spiega di aver consegnato una video denuncia alla procura di Genova, dove c’è un fascicolo aperto – contro ignoti- per omicidio colposo plurimo e disastro colposo: è un vecchio reportage Rai di Milena Gabanelli sulle condizioni del ponte. Simona Fossa, cugina di una vittima, in chiesa alza la voce: “Spero che i responsabili paghino, qua c’è chi muore e chi si arricchisce”. Ma i dubbi serpeggiano tra la folla, dove le autorità sono poche. Il governatore Vincenzo De Luca non c’è, la Regione è rappresentata da Rosa D’Amelio, presidente del consiglio. Manca pure il sindaco metropolitano Luigi de Magistris. Però ci va giù duro il cardinale Sepe nell’omelia. “Quello che è accaduto a Genova – tuona il presule – è una violenza consumata dalla mano dell’uomo che si sostituisce alla mano di Dio per i propri interessi personali e che diventa una mano che porta morte”. E l’arcivescovo punta ancora il dito: “Pensare ai responsabili non è giustizialismo, ma rispetto dovuto alle vittime”. Ed è anche la domanda che rimbomba nell’afa della basilica.