La decisione assunta dal Tribunale a seguito di un’articolata indagine del nucleo tutela del lavoro dei carabinieri
La Sezione autonoma misure di prevenzione del Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria per l’azienda dell’alta moda Alviero Martini spa, specializzata in borse ed accessori, “ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo”.
L’inchiesta del Nucleo ispettorato lavoro dei carabinieri, coordinati dal pubblico ministero Paolo Storari mostrerebbe una “connessione” fra il “mondo del lusso” e “quello di laboratori cinesi dall’altra, con un unico obiettivo: abbattimento dei costi e massimizzazione dei profitti attraverso elusione di norme penali giuslavoristiche”.
In particolare, sono stati controllati 8 opifici tutti risultati irregolari, nei quali sono stati identificati 197 lavoratori di cui 37 occupati in nero e irregolari sul territorio nazionale. Né la società né i suoi rappresentanti risultano indagati.
Stando agli accertamenti, l’impresa non avrebbe “mai effettuato ispezioni o audit sulla filiera produttiva per appurare le reali condizioni lavorative” e “le capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato”.
E’ stato accertato che “la casa di moda” avrebbe affidato “mediante contratto di appalto con divieto di sub-appalto senza preventiva autorizzazione, l’intera produzione a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi”. E le aziende appaltatrici, però, avrebbero “solo nominalmente” una “adeguata capacità produttiva e possono competere sul mercato solo esternalizzando le commesse ad opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere a loro volta i costi grazie all’impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento“.
L’indagine della Procura di Milano ha appurato “una connessione tra il cosiddetto mondo del lusso da una parte e quello di laboratori cinesi dall’altra, con un unico obiettivo: abbattimento dei costi e massimizzazione dei profitti attraverso l’elusione di norme penali giuslavoristiche”. Lo si legge nel provvedimento della sezione misure di Prevenzione del Tribunale di Milano che ha disposto il commissariamento su richiesta del pm Paolo Storari.
La Alviero Martini, azienda di alta moda, per produrre, come ultimo anello della catena, si sarebbe avvalsa, stando alle indagini che hanno portato all’amministrazione giudiziaria della spa, di opifici cinesi.
Un sistema, spiegano gli investigatori, che “consente di realizzare una massimizzazione dei profitti inducendo, con il classico sistema ‘a strozzo’ l’opificio cinese che produce effettivamente i manufatti”, ossia borse ed accessori, “ad abbattere i costi da lavoro (contributivi, assicurativi e imposte dirette) facendo ricorso a manovalanza ‘in nero’ e clandestina, non osservando le norme relative alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro nonché non rispettando i Contratti Collettivi Nazionali Lavoro di settore riguardo retribuzioni della manodopera, orari di lavoro, pause e ferie“.
Nelle indagini dei carabinieri “a partire da settembre del 2023” sono stati effettuati “accertamenti sulle modalità di produzione, confezionamento e commercializzazione dei capi di alta moda procedendo al controllo dei soggetti affidatari degli appalti nonché dei sub affidatari non autorizzati costituiti esclusivamente da opifici gestiti da cittadini cinesi nelle province di Milano, Monza e Brianza e Pavia”.
In particolare, sono stati controllati otto opifici “tutti risultati irregolari nei quali sono stati identificati 197 lavoratori di cui 37 occupati in nero e clandestini”.
Negli stabilimenti di “produzione effettiva e non autorizzata” è stato riscontrato che la lavorazione avveniva “in condizione di sfruttamento (pagamento sotto soglia, orario di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri), in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (omessa sorveglianza sanitaria, omessa formazione e informazione) nonché ospitando la manodopera in dormitori realizzati abusivamente ed in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico”.
La testimonianza di un lavoratore cinese – “Vengo pagato 1,25 euro a tomaia (la parte superiore di una scarpa, ndr) durante la settimana dormo sopra la ditta al piano primo presso locali adibiti a dormitorio (…) in una giornata lavorativa produco circa 20 paia di scarpe (…) percepisco un bonifico mensile di circa 600 euro che ci paga il titolare che produce tomaie relative all’azienda Alviero Martini”.
E’ solo una delle testimonianze dei lavoratori cinesi impiegati negli opifici che avrebbero lavorato per produrre per conto dell’azienda di alta moda, sottoposta oggi ad amministrazione giudiziaria dai giudici Roia-Rispoli-Cucciniello, nelle indagini per sfruttamento del lavoro del pm di Milano Paolo Storari.
I lavoratori, stando agli atti, percepivano paghe al di sotto della soglia di povertà, ossia poco più di 6 euro all’ora, e stavano in luoghi con “micro camere, completamente abusive“, con “chiazze di muffa” e con “impianti elettrici di fortuna”. Un altro operaio ha messo a verbale: “Percepisco 50 centesimi ogni fibbia rifinita (…) non sono mai stato visitato dal medico dell’azienda”.
Durante la settimana dormivano nei dormitori “abusivi” degli opifici e solo nel fine settimana tornavano nelle loro “abitazioni”. Stando alle indagini, per un prodotto venduto sul mercato a 350 euro l’opificio cinese si sarebbe fatto pagare 20 euro. Seguendo la catena dei subappalti della produzione, poi, l’azienda di alta moda, secondo gli investigatori, avrebbe pagato il prodotto finale 50 euro. Venduto, poi, a 350 euro.
L’infortunio mortale sul luogo di lavoro – C’è anche un morto sul lavoro, un operaio in nero e il giorno dopo l’infortunio in cui ha perso la vita regolarizzato da una delle società appaltatrici, nell’indagine della Procura di Milano che ha portato a disporre l’amministrazione giudiziaria per l’Alviero Martini. E’ quanto emerge dal provvedimento della sezione Misure di Prevenzione del Tribunale che ha segnalato la vicenda che risale allo scorso 24 maggio. Nei capannoni della ditta di Trezzano Sul Naviglio, nel Milanese, un lavoratore di 26 anni, originario del Bangladesh, è morto schiacciato dalla caduta di un macchinario. Ma, “per camuffare l’effettivo status di lavoratore in nero” dell’operaio, il giorno dopo la società “ha inviato il modello telematico di assunzione al Centro per l’impiego e agli enti contributivi e assicurativi Inps ed Inail”.
La replica della società – “Tutti i rapporti di fornitura sono disciplinati da un preciso codice etico a tutela del lavoro e dei lavoratori al cui rispetto ogni fornitore è vincolato”. Lo precisa la Alviero Martini, commissariata nell’ambito di un’inchiesta sullo sfruttamento del lavoro. La società precisa anche di “essersi messa tempestivamente a disposizione delle autorità, non essendo peraltro indagati né la società né i propri rappresentati, al fine di garantire e implementare da parte di tutti i suoi fornitori, il rispetto delle norme in materia di tutela del lavoro”. “Laddove emergessero attività illecite effettuate da soggetti terzi, introdotte a insaputa della società nella filiera produttiva, assolutamente contrari ai valori aziendali, si riserva di intervenire nei modi e nelle sedi più opportune, al fine di tutelare i lavoratori in primis e l’azienda stessa” conclude la nota.
Red