La scrittrice Anna Iaccarino: “i poveri funzionali al sistema, da sempre”

Una riflessione per Il Desk, Quotidiano Indipendente. Ridurre gli esseri umani ai limiti della sopravvivenza, deprivandoli del sostentamento materiale, la più grande espropriazione di diritti

La povertà nel mondo è sempre esistita, l’umanità non è mai stata egualitaria e ne ha sempre marcato il timbro di vergogna a permetterla, quando non è stata essa stessa a generarla.
Il mondo attuale ne è solo la continuazione, con una ulteriore diversa connotazione di deterioramento concettuale. Ridurre gli esseri umani ai limiti della sopravvivenza, deprivandoli del sostentamento materiale, la più grande espropriazione di diritti, e non meno grave, rendendoli cittadini defraudati del diritto al futuro ed a percorsi di vita di pari dignità lavorativa e crescita professionale, porta ancora oggi il nome di “povertà”, con l’aggiunta di una legittimazione di aggravio.


In questa fase storica si coglie, infatti, in maniera sempre più marcata, nelle varie forme della comunicazione, sia di linguaggi verbali che in ambito social, una modalità nel rapportarsi all’indigenza altrui, fatta di approcci, sguardi, valutazione, giudizi/pregiudizi, verso i cosiddetti soggetti identificati, tra il violento e il derisorio. Quasi una sorta di bullismo sociale nei confronti di dette persone e delle condizioni generanti tale stato, che ne consente, a sua volta, la libertà di un “non rispetto”, perché visti come scarti della società. Volendo eccedere con una provocazione, come una sorta di apartheid civile, per i lasciati fuori da una collettività non più comunità, ma palco di potere.
Un peso per lo Stato, un impiccio per il Governo, un freno per lo sviluppo del Paese, una intolleranza per la crescita economica della società che conta. Un disegno celato che ne pianifica e ne innesta la pericolosa idea di radicamento, attraverso una scia strisciante di campagne denigratorie, di indotto mentale, inumanità come stile di vita.

Ma che respiro può avere oggi l’affronto della “povertà” come una corresponsabilità di risposte che dovrebbe riguardare il “fare” di chiunque ne sia preposto e non solo?

In un contesto socio-economico in cui le aree metropolitane “in” si trasformano sempre più in resort di lusso per ricchi, imprenditori e manager, e dove, di contro, i quartieri popolari tendono a spopolarsi, privandosi di quel presidio sociale che per decenni ne ha preservato l’identità e la funzione, appare tutto molto lontano, dannatamente divisivo e miseramente ingiusto. Arduo, difficile, quasi impossibile capovolgere questa cupola? Sicuramente, si.
Ma almeno proviamo a specchiarci in questo vetro a doppio riflesso macchiato e rendiamolo nudo nelle sue verità. Non dimenticando che uno stato di povertà, di indigenza di qualsiasi tipo, può riguardare chiunque di noi e accadere in qualunque momento delle nostre vite.


Ricordando che, tra questi, ci sono quelli che non sempre hanno saputo cogliere tempo ed opportunità (in ogni caso restando in diritto di rialzarsi), ma che ci sono anche e soprattutto quelle persone a cui la vita non ha fatto sconti: gli operai del vivere, quelli che si sono ritrovati a raccogliere cocci, a spostare macerie, senza scelte o colpe proprie, e non per questo hanno mai smesso di rimboccarsi le maniche per affrontarne l’esistenza.
Anche quando il coraggio ne era ormai un fradicio manto alla paura celata e occorreva rubare ogni lembo di forza per duellare i giorni e aprirsi ai varchi di un nuovo tempo.

Ma perché questo sistema di relazioni economiche crea sempre più poveri e più minoranze agiate?

Se è più facile argomentare su come vengono trattati questi “penultimi/ultimi” della terra, decisamente arduo è provare a condensare, ancor più in breve assunto, il perché esistono dagli albori dell’umanità.
Sono funzionali a questo sistema, ricchi e poveri devono esistere, devono coesistere, devono essere visti come diversi, rimanendo due facce della stessa medaglia.
Le risorse materiali passano per una distribuzione impari, lo sfruttamento predatorio della natura non riesce a sfamare tutti, sicuramente non tutti allo stesso modo, i poveri devono esistere, altrimenti le minoranze agiate perderebbero i distintivi privilegi di vantaggio.


Le minoranze devono restare tali, riprodursi da sole, non possono diventare più larghe e consentire che i “poveri” mutino la loro condizione per avvicinarsi anch’essi agli standard privilegiati, perché quest’ultimi non “possono” né “devono” poterselo permettere.


Bisognerebbe cambiare il corso della storia, ma la società contemporanea (al di là dell’utopico pensiero) per l’interconnessione di tanti fattori, non escluso anche il dopo Covid che ne ha inasprito ancor più il tessuto economico e umano, è la più lontana di sempre a idearne un immaginifico capovolgimento e, infonderne così, un degno modello di equità sociale.

Anna Iaccarino

Profilo biografico di Anna Iaccarino

Anna Iaccarino nasce a Napoli dove ha maturato la sua formazione di studi e da sempre coltivato interessi culturali e vita relazionale. Laureata in Scienze del Servizio Sociale, dopo un lungo percorso professionale presso Ente Pubblico è oggi dedita alla scrittura ed a percorsi d’ambito.

In qualità di autrice ha all’attivo le opere (edite da Guida Editori) così in ordine pubblicate:

Il Racconto “Il tempo di noi” (2019); il Libro di Poesie “Passi in cammino di parole” (2019); la Raccolta “Di vita e frammenti” (2021) con oltre 100 poesie tra edite ed inedite, più 5 mini racconti a taglio sociale; il Romanzo “Il prato negli occhi” (2024).

Ha partecipato a Premi Internazionali di Narrativa e Concorsi di Poesie, ottenendo il conferimento di Menzioni di Merito e Menzioni Speciali dai Presidenti di Giuria, agli eventi letterari di seguito riportati: Premio Internazionale “CET Scuola Autori di Mogol”; Premio Internazionale “Salvatore Quasimodo”; Concorso Letterario Internazionale “Città’ di Firenze”.   

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