La bufala del “processo a vita”: la blocca prescrizione sana un’anomalia in Europa

Analisi di fact-checking: la riforma voluta dal M5s – e avversata da tutti gli altri partiti – riguarda appena il 3 per cento dei processi. La nuova legge allinea l’Italia agli altri paesi Ue, scardinando un impianto risalente al fascismo. Ma resta il nodo grave dell’eccessiva durata dei processi

La martellante propaganda sul “processo a vita” è una bufala dei media mainstream e dei loro politici di riferimento. La riforma della prescrizione, in vigore dal primo gennaio, interesserà una esigua minoranza dei processi che si concludono ogni anno in Italia: circa il 3 per cento del totale.

Inoltre avrà l’effetto di sanare l’anomalia del sistema italiano in vigore prima della nuova legge, che ora blocca la prescrizione dopo la sentenza di primo grado: tutti gli altri principali Paesi europei hanno un regime della più simile a quello creato dalla riforma, voluta dal M5s, che a quello precedente.

Questa anomalia, di cui spesso beneficiano colletti bianchi e imputati “eccellenti”, è di matrice fascista: proprio nel ventennio fu varato l’impianto della prescrizione poi arrivato – con diverse modifiche, ma non sostanziali – fino alla fine del 2019.

Tuttavia, è anche vero che, a differenza degli altri Paesi europei, l’Italia ha un grave problema di eccessiva durata dei processi. Queste conclusioni rispondono a quattro fact-cheking del sito specializzato pagellapolitica.it. Un utile pro memoria, alla vigilia del vertice di maggioranza (slittato dal 7 al 9 gennaio), in cui si discute proprio di giustizia. A gradazioni diverse, le altre forze di maggioranza (per non parlare dell’opposizione) sono contrarie alla norma, difesa invece a spada tratta dai 5 stelle.

La riforma. La novità è che lo scorrere della prescrizione, una causa di estinzione del reato, verrà sospeso dopo la sentenza di primo grado. Quindi se finora la prescrizione poteva sempre sopraggiungere, e vanificare il processo – anche durante il giudizio di Appello o Cassazione – dal primo gennaio 2020 non è più così. La riforma era nel Contratto di governo Lega-M5s, ed è stata approvata l’anno scorso, prevedendo di differire l’entrata in vigore di 12 mesi.

Una minoranza di processi coinvolti. Pagella Politica scrive: “Il mondo dell’avvocatura, le opposizioni e anche alcuni settori della maggioranza hanno avuto parole molto dure per questa riforma della prescrizione. Come abbiamo segnalato in una nostra analisi dedicata specificamente a questo aspetto, il suo impatto è però numericamente molto limitato”.

Nel 2017 (dati più aggiornati disponibili) sono stati definiti circa un milione di processi. La prescrizione ha portato alla definizione di meno del 13 per cento del totale: ma soprattutto la prescrizione che verrebbe interessata dalla riforma – quindi quella successiva alla conclusione del primo grado di giudizio – ne riguarda circa il 3 per cento (fonte agenzia Agi su dati della Direzione generale di Statistica e analisi organizzativa del Ministero della Giustizia e Cassazione penale). 

Dunque la riforma, una volta a regime, sarebbe relativa a circa un quarto delle prescrizioni e soprattutto appena il 3 per cento del totale dei processi che vengono conclusi ogni anno in Italia. Altro che “processo a vita”.

L’anomalia sanata. La riforma della prescrizione allinea l’Italia “ai principali Paesi europei che – spiega Pagella Politica – hanno un sistema di civil law, cioè il sistema di codici e leggi tipico dell’Europa continentale (contrapposto al sistema di common law che vige nel Regno Unito e negli Usa, dove hanno un valore fondamentale i precedenti giuridici)”.

Come segnalato in una precedente analisi, “il regime italiano finora in vigore, con la prescrizione che non viene interrotta dal procedere del processo, ha rappresentato un’anomalia nel panorama europeo”.

In Francia, in Germania e in Spagna, la regola è che la prescrizione si interrompa o dopo la sentenza di primo grado o al compimento di determinati atti processuali. Quindi, in concreto, se il processo va avanti – anche lentamente – è materialmente impossibile che sopraggiunga la prescrizione.

Le origini storiche. Secondo un’opinione comune, la colpa della “prescrizione all’italiana”, vigente fino allo scorso 31 dicembre, è dei partiti che hanno governato negli ultimi venti anni. In primis di Berlusconi (che comunque ridusse i termini per alcuni reati, con la legge ex Cirielli), per difendersi dai processi approfittando del suo ruolo in politica. Ma anche, ovviamente, del centrosinistra che non avrebbe fatto nulla per impedirglielo.

“Come abbiamo verificato a proposito di un’affermazione di Di Battista, questa lettura – afferma l’indagine – è però in larga parte scorretta. In primo luogo il regime “anomalo” della prescrizione italiana risale ai tempi del fascismo, e dunque è inesatto attribuire particolari responsabilità alla Seconda Repubblica (anche se è vero che i governi Berlusconi abbiano facilitato ulteriormente le prescrizioni). In secondo luogo negli ultimi anni, in particolare quando è stato al governo il centrosinistra, il regime della prescrizione è stato modificato in senso restrittivo, rendendo sempre meno i casi di estinzione del processo per il sopraggiungere della prescrizione”.

L’eccessiva durata dei processi. Appurate le diverse bufale della propaganda, c’è però un dato incontestabile, spesso citato da chi si oppone alla riforma della prescrizione: l’eccessiva durata dei processi in Italia.

“In un Paese in cui già i processi durano molto più del dovuto – l’Italia è stata spesso condannata per questo dalla Corte europea dei diritti dell’uomo – indebolire un meccanismo come la prescrizione che ha l’effetto di smaltire la mole dei processi, e di fissare un termine massimo invalicabile – argomenta la ricerca – secondo i critici è sbagliato. Si rischierebbe infatti di lasciare “in ostaggio” della giustizia i cittadini per un tempo indeterminato.

In una nostra analisi dell’agosto 2019, abbiamo verificato che – in base a dati del 2016 – il nostro Paese è tra i peggiori in Europa per la durata dei processi penali. Che sono comunque quelli con le prestazioni migliori, nel confronto internazionale, rispetto ai procedimenti civili e amministrativi”.

Il primo grado dura più in Italia che in qualsiasi altro Paese dell’Unione europea, tranne che a Cipro. Il secondo grado di nuovo vede l’Italia superata, quanto a lunghezza del processo, solamente da Malta (che oltretutto ha solo due gradi di giudizio). Il terzo grado, infine, vede l’Italia terzultima, davanti a Cipro e Irlanda. In definitiva: il bubbone sembra la lunghezza del processo, la prescrizione non c’entra nulla. Anche perché i procedimenti penali duravano troppo anche prima – e lo testimoniano le condanne della Cedu – quando c’era la scandalosa “prescrizione all’italiana”, fabbrica di impunità.

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