Isochimica di Avellino, un operaio: “Non ho più fiducia nella giustizia”

Nella storia della fabbrica dei veleni ci sono più vittime che colpevoli, i responsabili per troppi anni sono rimasti nell’ombra riparati e impuniti

Nell’aula bunker di Poggioreale è uno dei pochi arrivato a Napoli ad assistere all’udienza per il processo Isochimica. Carlo Sessa, ex operaio della fabbrica dei veleni di Avellino, è demoralizzato e sfiduciato. Lui, che questo processo lo ha atteso da trent’anni, ha la voce rotta dall’emozione mista a rabbia.  “Per rispetto di tutti quelli che sono morti, non posso più trattenermi – ha detto – ho lottato come protagonista per portare il “caso Isochimica” in un’aula di tribunale: dove ventisette persone devono rispondere a vario titolo di omicidio colposo plurimo, disastro ambientale, omissione in atti d’ufficio. Ora invece questo processo non mi appartiene più. Purtroppo decidono altre persone per noi”.  Sessa, che nella fabbrica dei veleni si è ammalato come tanti altri operai, sta lottando affinché il processo venga celebrato ad Avellino. “Ci hanno sbattuto fuori dalla nostra città e nessuno ha mosso un dito. Questo è un processo di persone malate che non possono viaggiare. Perché nessuno ci dà ascolto? Ieri a Napoli il pullman organizzato dalla Provincia era deserto. Lo avevano detto molti che non sarebbero più venuti a Napoli perché questa scelta era inaccettabile”. Ieri, infatti l’aula bunker sembrava enorme. I posti per il pubblico quasi vuoti. Gli operai e le vedove presenti si contavano sulle dita di una mano ma hanno assistito comunque all’esame del Ctu Giovanni Auriemma, incaricato dal pubblico ministero per la consulenza tecnica sull’impatto ambientale sia dell’attività dell’Isochimica sia della mancata bonifica. Il geologo, oltre a sottolineare il pericolo che ancora rappresentano i circa 490 cubi di cemento ripieni di amianto tutti in pericoloso stato di deterioramento, ha puntato l’attenzione sull’abbandono in cui versa il sistema di aspirazione e decantazione delle polveri dei luoghi di lavoro, con un silos pieno di polvere di amianto che è stato lasciato per 30 anni alle intemperie e sul quale ancora nessuno ha fato alcun trattamento. E proprio sull’impianto di aspirazione Carlo Sessa, che ha testimoniato nell’udienza precedente, è andato indietro nel tempo, ripercorrendo quegli anni in cui ha visto scaricare l’amianto a mani nude nel corso d’acqua del Fenestrelle ad Avellino.  “L’unico sistema di aspirazione in quel capannone erano i nostri polmoni e le porte aperte – ha ribadito –  ci siamo occupati di scoibentare l’amianto residuo su alcune carrozze delle Ferrovie dello Stato senza alcuna misura di sicurezza”. L’operaio ha ripercorso anche le battaglie intraprese con la dirigenza. “Una volta – ha raccontato  – mi hanno licenziato addirittura due volte in un giorno: la mattina e la sera. Io ero colpevole di aver chiesto di poter lavorare in sicurezza e in tranquillità”.  Ma la battaglia degli operai del processo Isochimica non si ferma.

Nella storia della fabbrica dei veleni ci sono più vittime che colpevoli, i responsabili per troppi anni sono rimasti nell’ombra riparati e impuniti e oggi a pagare le conseguenze è un intero territorio, chi abita in quel quartiere, chi vive a pochi metri da quei maledetti cubi e da quel silos che ancora resta in uno stato indecente

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