E adesso Poletti vuole rottamare l’orario di lavoro: “Attrezzo vecchio”

Il ministro agli studenti della Luiss: “Dovremmo immaginare un contratto di lavoro che non abbia come unico riferimento l’ora di lavoro ma la misura dell’apporto dell’opera”

ROMA  – Provocazione? Mica tanto. A 24 ore dall’affondo sugli universitari che si laureano tardi pur di conquistare un buon voto, Giuliano Poletti ne sforna un’altra “Dovremmo immaginare un contratto di lavoro che non abbia come unico riferimento l’ora di lavoro ma la misura dell’apporto dell’opera. L’ora lavoro è un attrezzo vecchio che non permette l’innovazione”. Sì, innovazione hip hip hurrà. Spargendo il verbo rottamatario tra gli studenti della Luiss, Poletti dà un altro colpo di clava alle conquiste dei lavoratori, che si illudevano di poter almeno quantificare il lavoro secondo parametri temporali. Macché, roba vecchia. “La nostra vita  – spiega il ministro durante un convegno sul jobs act – è stata fortemente disegnata sulla necessità di essere efficaci ed efficienti al lavoro. Abbiamo cambiato i nostri ritmi di vita, modificato molti comportamenti per seguire gli orari. Oggi le tecnologie ci consegnano un po’ più di libertà. Probabilmente possiamo riguadagnare qualche metro di libertà nell’esistenza individuale. Però dovremmo essere capaci di immaginare un cambiamento dei contratti di lavoro che non abbiano più come misura unica essenziale di riferimento l’ora di lavoro”. No, basta con parametri superati, allora. Ecco la nuova ricetta in salsa polettiana. “Come si misura l’apporto all’opera, cioè al risultato finale? E’ una bella domanda – riflette Poletti -. Perché, se teniamo come riferimento la misurazione, l’ora di lavoro, ci troveremo un freno che blocca la nostra capacità di fare. Credo che sia un tema su cui lavorare”. Il ministro di Renzi ha ragione: nessun freno va posto alla nostra capacità di fare: fare contento il datore di lavoro.

 

 

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