Colombia, la protesta di un intero popolo

Le manifestazioni, iniziate il 28 aprile, vedono coinvolte tutte le categorie sociali: studenti, operai, pensionati, commercianti. Tutti uniti contro le politiche neo liberaliste e autoritarie del governo di Iván Duque.

La rivolta popolare che sta investendo la Colombia in questi giorni di inizio maggio è l’ennesima riprova, se ancora ce ne fosse bisogno, del totale fallimento del neo liberalismo. Le manifestazioni iniziate il 28 aprile come protesta contro la Riforma Tributaria presentata dal presidente Iván Duque al Congresso nazionale rappresentano, di fatto, la ribellione di un intero popolo contro il proprio governo, la cui azione riformatrice rischia di minare il futuro di intere generazioni di colombiani.

   Ma la risposta di Duque e del suo esecutivo alle loro legittime istanze è stata ancora una volta violenta: le manifestazioni svoltesi in tutto il territorio nazionale hanno subito infatti una brutale repressione da parte della polizia e dell’esercito, che ha già causato 37 vittime. La violenza di Stato, però, non ha intimorito i colombiani, soprattutto i più giovani, sempre più consapevoli dell’importanza della posta in gioco. Da questa lotta, infatti, sta emergendo una gioventù combattiva, stanca di un Paese colonizzato dall’imperialismo statunitense attraverso il cosiddetto Plan Colombia.

   È evidente che l’origine di queste forti proteste non è stato solo il progetto di riforma tributaria del governo colombiano: ridurre una mobilitazione cosi massiccia di cittadini ad una singola iniziativa governativa vuol dire sottovalutare ancora una volta le problematiche di un continente, quello latinoamericano, che pur essendo il più ricco di risorse e caratterizzato da un enorme disuguaglianza economica e sociale. Come in Ecuador e in Chile dove la scintilla delle rivolte del 2019 fu innescata dall’aumento dei carburante e del biglietto della metropolitana ma aveva radici più profonde, anche in Colombia la riforma proposta da Duque è stato il fattore scatenante di un malessere diffuso in quasi tutti i ceti sociali, alimentato da decenni di problemi strutturali mai risolti nemmeno parzialmente, e che anzi sono peggiorati in quest’anno pandemico. L’emergenza sanitaria, come in molti paesi dell’America del Sud, anche in quelli con a governo i “progressisti” (Argentina su tutti), è stata cavalcata da Duque per reprimere le libertà fondamentali e soffocare l’economia: quarantene infinite e coprifuochi insensati hanno di fatto impoverito una buona fetta della classe media formata da commercianti e ristoratori.

   Questa protesta, la terza che il mandatario si trova ad affrontare da quando è stato eletto nel 2018, è dunque veramente popolare: anche se sono i giovani a fare la parte del leone, vede infatti coinvolte tutte le categorie sociali: operai, impiegati, commercianti, pensionati, le popolazioni indigene, tutti esasperati dal decadimento delle loro condizioni di vita dovuto alle politiche neo liberali di Duque e dei suoi predecessori. In Colombia la disoccupazione supera il 17%, il lavoro precario è la norma, il livello di povertà coinvolge il 42% della popolazione, ovvero, 21 milioni di colombiani non riescono a permettersi nemmeno le necessità basiche.

   L’apogeo di questa prima ondata di proteste si è toccato mercoledì 5 maggio: in quella giornata buona parte del popolo colombiano ha paralizzato il paese con enorme manifestazioni in differenti punti delle principali città come Bogotà, Medellìn e Cali. Lo sciopero generale è stato convocato dal Comité  Nacional de Paro che aggrega le tre principali sigle sindacali (CUT, CGT, CTC), ma ha visto una partecipazione massiccia degli studenti delle principali università, in particolare dell’Univedidad Nacional de Colombia di Bogotà e dell’Universidad del Valle di Cali. Qui si sono uniti alla protesta anche migliaia di esponenti della comunità indigena locale.

   Questa mobilitazione massiccia ha ottenuto un primo importante risultato: mentre l’ondata di proteste si propagava in tutto il paese, il presidente Duque teneva una conferenza stampa in cui annunciava il ritiro della riforma tributaria e la destituzione dell’odiato Ministro del Tesoro. Ma quella del mandatario colombiano è apparsa subito come una tattica per dividere il fronte delle poteste: alle richieste di dialogo con i sindacati, i partiti dell’opposizione, e i piccoli impresari, hanno fatto seguito le accuse di “terrorismo” e “vandalismo” nei confronti del settore più giovane della mobilitazione formato da studenti, precari e  disoccupati. A queste infami dichiarazioni si sono aggiunte quelle dell’ex presidente Álvares Uribe, il mentore di Iván Duque e fautore della destra più retrograda e violenta del Centro Democratico, l’alleanza di governo che appoggia il presidente, il quale, attraverso twitter,ha auspicato l’intervento delle Forze Armate contro quella che ha definito “una libertina rivoluzione molecolare”: uno pseudo concetto esoterico utilizzato dai fascisti di ogni risma per ridurre la protesta popolare all’opera di infiltrati e giustificare la violenza statale. 

   Ma oltre agli attacchi mediatici della destra e alla repressione dei militari, i manifestanti devono guardarsi anche dall’opportunismo del fronte “progressista”. Le principali forze d’opposizione, come la Coalición de la Esperanza e il Pacto Histórico, hanno infatti invitato i giovani colombiani, i veri protagonisti di questi giorni di lotta politica, alla smobilitazione e a riprendere il confronto con l’esecutivo. Gustavo Petro, ex militante del gruppo guerrigliero M-19 ed attuale leader della principale alleanza di centro-sinistra Colombia Humana, ha chiesto ai cittadini di cessare le proteste e a dialogare con il governo. Quella di Petro, però, è solo una strategia elettorale, dato che, in vista delle elezioni del 2022, è colui che più si sta avvantaggiando della crescente impopolarità di Duque. Petro rappresenta il progressismo latinoamericano dei vari Lula, Correa, Kirchner: un centro-sinistra che si auto-proclama difensore delle classi più deboli, ma che di fatto è sottomesso alla oligarchia finanziaria globale almeno quanto la destra, anzi, forse anche di più. Solo per farsi un’idea: durante questa emergenza sanitaria, il leader di Colombia Humana  ha sempre sostenuto le misure liberticide (quarantena obbligatoria e coprifuoco) suggerite dall’OMS di Bill Gates, appoggiando, nei fatti, il pugno duro del governo di Duque e l’impoverimento ulteriore dei colombiani.  

  Ma nonostante questi interessati “appelli al dialogo” dei progressisti all’amatriciana come Gustavo Petro, il fronte della gioventù che capeggia la protesta sembra intenzionato ad andare avanti, a lottare per le strade resistendo alla repressione attuata dalla forze armate colombiane, a continuare la sua marcia contro la fame presente e futura. La gioventù colombiana, la più affettata dalla recessione economica degli ultimi anni (costituisce il 17% di disoccupazione), è nauseata dai politici tradizionali  e intenzionata a seguire con la protesta, in barba ad ogni intento di “pacificare” la situazione. Ma non è sola in questa lotta: con essa ci sono lavoratori, classe media, contadini,  indigeni, tutti decisi a farla finita una volta per tutte con una classe politica da più di sessant’anni sorda alle reali necessità del suo popolo.

   Dovremmo guardare con ammirazione al popolo colombiano, che in tempi bui come questi, dove chi governa lo fa contro e non per cittadini, ha avuto il coraggio di sfidare la paura e lottare per prendersi ciò che le spetta di diritto: una vita degna dell’essere umano. Ma soprattutto dovremmo pensare seriamente se non sia il caso di prenderlo ad esempio. Ma in Europa ed anche in America Latina ci sono ancora troppi cittadini che pensano che chi li governa non possa volere il loro male. Eppure, da un anno a questa parte, cioè, da quando è stata dichiarata questa “pandemia”, è proprio questo ciò che è emerso. In questo momento storico una buona parte dell’umanità è governata da incompetenti e lacchè al servizio di un piccolo gruppo di potentati che controlla l’80% dell’economia mondiale: sadiche marionette che pur di conservare quel po’ di pseudo potere concessogli dai loro padroni sono disposte a rinchiudere i cittadini nelle proprie case per un anno e più e a tormentarli quotidianamente con una narrazione apocalittica costruita su un virus che ha, dati alla mano, un tasso di mortalità del 0,02% a livello globale.

  È soprattutto a questa maggioranza accondiscendente e non ancora capace di vedere la natura malefica dei nostri governanti che voglio rivolgermi: non è questa la classe dirigente che ci meritiamo e credo che sia giunto il momento che ne prendiate coscienza anche voi e vi uniate a chi già da almeno un anno sta lottando contro il progetto dispotico di un Nuovo Ordine Mondiale. Non farlo quando si è ancora in tempo sarebbe un atto di complicità, perché, come direbbe Montesquieu: di fronte al pericolo della tirannia non c’è cosa peggiore dell’apatia dei cittadini.

Antonio Sparano

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