Buona Scuola, perché ancora non è cambiata?

Le promesse del governo dicevano di eliminare i guasti della legge renziana: potere esagerato nelle mani dei dirigenti scolastici; molto poco per i precari della scuola; percentuale del Pil destinata a istruzione poco più della metà della media europea; algoritmi di assegnazione cattedre ignoti

Il governo del cambiamento aveva promesso di “cambiare” la buona scuola. La sta difendendo al di là di ogni pessimistica previsione. È solo per un difetto di comunicazione che decine e decine di migliaia, e di conseguenza, centinaia di migliaia di elettori, proprio a causa della buona scuola hanno abbandonato il Pd? E che abbandoneranno i 5 Stelle? Potere esagerato nelle mani dei dirigenti scolastici; molto poco per i precari della scuola (che non hanno sempre ragione, ma certo i governi di centrosinistra non hanno fatto molto per loro!); percentuale del Pil destinata a istruzione poco più della metà della media europea; algoritmi di assegnazione cattedre … ignoti alla opinione pubblica, quindi scientificamente … inesistenti, perché non riproducibili e verificabili; il bonus di 80 euro non è andato solo ai docenti, ma a tutti i lavoratori, a patto che avessero un reddito fino a 24600 euro annui (e quindi non è una misura a favore della scuola); niente sull’estensione dell’obbligo scolastico; niente sulle classi-pollaio; niente sui livelli essenziali delle prestazioni; niente sulla messa in sicurezza dell’immenso patrimonio immobiliare destinato ad uso scolastico; elaborazione delle deleghe ottenute dal Parlamento senza coinvolgere chi veramente lavora e fa parte della scuola: docenti, personale Ata, studenti e organizzazioni sindacali; madornali errori riscontrati nei trasferimenti dei docenti; nessun orizzonte progettuale alla scuola italiana: non una parola sul rinnovo dei saperi e dei contenuti, nessun piano per sostenere il cambiamento della didattica, ma un unico filo conduttore: la mancanza di fondi; confusione, nel migliore dei casi, tra la cosiddetta alternanza scuola-lavoro e una sorta di apprendistato, con punte di sfruttamento legalizzato da parte di aziende e ditte e studi professionali vari (senza tralasciare il fatto che la concezione del “sapere fare”, una scuola “delle competenze”, è quanto di più lontano dai principi, inderogabili, della sinistra: nella scuola dove si sviluppano conoscenze, abilità e, perché no, anche “competenze”, tante dimensioni dell’essere e dell’agire, ognuna con le sue proprie caratteristiche. Non può esistere una scuola che costruisca la propria identità sulle “competenze” che non sono, comunque, un fine ma una delle risorse che danno valore alle persone. La “scuola delle competenze”, qualora esistesse veramente, sarebbe una scuola monca, parziale, povera. La scuola ha come finalità la promozione della persona, del cittadino, nella sua interezza. Lo scopo della scuola è istruire. E, infine, auspicare l’avvento della scuola delle competenze vuol forse dire che fino ad ora abbiamo avuto la scuola delle … incompetenze?

 

La scuola ha la finalità di sviluppare persone istruite, capaci, competenti; ha, anche, la finalità di dotare le persone di una buona base di saperi, di abilità di pensiero, personali e sociali, di atteggiamenti nonché di fornire gli strumenti con i quali tutti possano costruire professionalità e cittadinanza.ecc ….
La Flc Cgil affermava, aderendo alla Legge di iniziativa popolare (la cosiddetta Lip) sulla scuola, “Per la Buona scuola della Repubblica”: “Il primo passo è definire i livelli essenziali delle prestazioni che devono avere standard qualitativi elevati in tutto il Paese. Occorre ridurre il numero degli alunni per classe per migliorare i processi di apprendimento, aiutare gli alunni in disagio socio-ambientale o in difficoltà di apprendimento. La scuola deve avere come obiettivo quello di portare tutti al successo formativo e non avere come fine quello di selezionare nel nome di una finta meritocrazia. (…). Bisogna garantire a tutti il diritto all’istruzione a partire dalla gratuità. La Flc Cgil chiede al Parlamento l’immediata discussione e approvazione della legge” (la Lip, ndr).
E ancora: gli studenti restano studenti, anche nelle ore di “lavoro” nell’alternanza scuola-lavoro. Si propone di abolirla: io sono d’accordo. Non serve alla scuola, non serve agli studenti; serve … alle aziende che hanno mano d’opera da sfruttare a costo zero!

 

Un progetto di scuola vincolata intransigentemente ai principi della Carta, pluralista, laica, inclusiva, democratica. Una scuola che sia viatico di cittadinanza consapevole per gli studenti e di esercizio della libertà di insegnamento per i docenti. Una scuola dei diritti e dei doveri, che costituisca la concreta applicazione dell’art. 3 della Costituzione, secondo il quale “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Contro la scuola-azienda pensata nella “buona scuola” renziana, contro la rottura del principio di unitarietà del sistema scolastico nazionale; contro una visione dirigista e punitiva, che dismette la democrazia scolastica imponendo modelli neoliberisti; contro una carriera dei docenti che non conosce la forza dei principi della collegialità e della cooperazione educativa; contro una scuola di serie A e di Serie B.
Last, but not least, nuovo fronte, pericolosissimo, l’imminente cosiddetta secessione dei ricchi, la richiesta, possibile secondo le norme di riforma del Titolo V della Costituzione, varate da governi di centrosinistra, di Veneto (e Lombardia, in misura diversa; Emilia-Romagna in dirittura d’arrivo, altre regioni si stanno attrezzando), di regionalismo differenziato, in cui si chiede competenza esclusiva su una miriade di materie, tra cui, per restare al solo ambito scuola-istruzione, offerta formativa scolastica, contributi alle scuole private, fondi per l’edilizia scolastica, diritto allo studio e la formazione universitari. Il Veneto propone di calcolare i fabbisogni standard tenendo conto non solo dei bisogni specifici della popolazione e dei territori (quanti bambini da istruire, quanti disabili da assistere, quante frane da tenere sotto controllo e mettere in sicurezza, ecc …), ma anche del gettito fiscale, cioè della ricchezza dei cittadini. Tale richiesta è eversiva. Il termine è forte, ma non ne ho trovato uno che la descrivesse così bene. In pratica i diritti (quanta e quale istruzione, quanta e quale protezione civile, quanta e quale tutela della salute) saranno beni di cui le Regioni potranno disporre a seconda del reddito dei loro residenti. Una proposta eversiva, dunque.
Credo che tutti noi dobbiamo coinvolgere i nostri parlamentari (eletti nel Mezzogiorno, di qualunque colore politico), ovviamente, in primis, quelli della nostra parte politica (LeU/Art 1 – Mdp), affinché qualunque decisione venga presa in Parlamento, non, come ancora chiede il Veneto, da una commissione Italia-Veneto; che i cittadini siano ampiamente informati su quello di cui si discute; che nessun trasferimento di poteri e risorse a una Regione sia attivato finché non siano definiti i LEP – livelli essenziali di prestazioni (art 117 Costituzione); che il trasferimento di risorse sulle materie assegnate alle Regioni sia ancorato esclusivamente a oggettivi fabbisogni dei territori, escludendo ogni riferimento a indicatori di ricchezza.

Giuliano Laccetti (ordinario Università Federico II, responsabile regionale “Università, Scuola, Cultura” di Art 1-Mdp Campania, presidente Comitato Scientifico associazione “e-Laborazione”)

Alessandro Zampella (docente di materie letterarie nelle Scuole Medie Superiori, responsabile metropolitano “Scuola” Art1-Mdp Napoli, segretario associazione “e-Laborazione”)

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