Argentina, una quarantena infinita

  

Verso quale baratro economico e sociale si avvia il modello argentino di lotta alla pandemia tanto elogiato dall’Oms?

Non bisogna essere certo una chiromante per rendersi conto che con altri due mesi di quarantena stretta e obbligatoria l’Argentina rischia di trasformarsi in uno dei principali focolai di proteste sociali per la crisi economica globale seguita all’emergenza del covid-19. Il paese già prima dell’arrivo del virus, o meglio, da due anni a questa parte, a causa del debito pubblico e privato si era convertito, economicamente, in un paziente grave: da terapia intensiva. Ma con l’arrivo del nuovo governo di centro-sinistra peronista, sembrava che il coma non dovesse essere irreversibile. Le parole del presidente Alberto Fernandez al momento della sua investitura, in quell’ormai lontano 10 dicembre 2019, sembravano rassicuranti da questo punto di vista: il nuovo governo si impegnava con il suo popolo a intavolare fin da subito nuove trattative con i creditori, affinché non solo si evitasse il default ma anche che a pagarne il costo fossero i ceti più poveri del Paese, ovvero i lavoratori dipendenti, mono-tributisti (l’equivalente argentino delle partite iva) e piccoli commercianti.

   Ma si sa, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, ed in questo caso quel mare sono tanti soldi, un oceano di denaro a cui i creditori del paese sudamericano non hanno intenzione di rinunciare. E così, fin dai primi colloqui, Alberto e il suo ministro dell’economia Guzmán si sono resi conto che  l’FMI e gli altri creditori, quelli dei fondi privati per intenderci, erano tutt’altro che accondiscendenti verso un accordo che prevedesse la riduzione del tasso di interesse e, soprattutto, di una sospensione del pagamento di almeno tre anni. De resto, questi signori erano stati abituati bene dal precedente governo del neoliberista Macri: con i loro soldi avevano già comprato la revisione delle pensioni e l’aumento di tutte le tariffe possibili, da quelle domestiche a quelle del trasporto pubblico. Quindi, davanti alla proposta del nuovo governo peronista, apparentemente priva di garanzie loro favorevoli, soprattutto i creditori privati si sono mostrati duri ed irremovibili.

  E così, da gennaio fino a metà marzo, abbiamo assistito ad una apparente confronto duro, una vera e propria farsa, tra un governo, che si proclamava “difensore del popolo”, e “cinici” creditori, privi di pietà per le difficoltà che stanno vivendo la maggioranza dei cittadini argentini.

   Ed è a questo punto che entra in gioco l’emergenza mondiale per il covid-19 proclamata dall’Oms a inizio marzo: infatti, mentre il governo argentino discuteva con i suoi creditori su come rinegoziare il proprio debito pubblico e privato, in Italia e in Spagna, due paesi storicamente e culturalmente vicini all’Argentina, scoppiavano gravi crisi sanitarie dovute al nuovo virus. Giorno dopo giorno arrivavano anche qui, come in tutto il mondo, le immagini drammatiche di ospedali italiani e spagnoli saturi di pazienti, il cui terrore era ulteriormente amplificato dalle notizie diffuse da chi in Italia e Spagna (e qui sono milioni) ha parenti ed amici.

  Alberto e il suo governo pensano allora di giocarsi la carta della quarantena per ammorbidire la irremovibilità del creditori. Questa misura estrema ma necessaria per difendersi dalla pandemia avrebbe dovuto convincerli che se già in periodi di normalità, ma con una economia nazionale in crisi, era difficile per l’Argentina mantenere i suoi precedenti impegni, adesso, in piena crisi sanitaria ed economica mondiale, era del tutto impossibile. Il 18 marzo Fernandez proclama lo stato di emergenza nazionale, l’inizio della quarantena obbligatoria e la chiusura delle frontiere. Ma, come era facile prevedere, l’effetto sui creditori non è quello sperato: questi, infatti, hanno ricordato a Guzmán che, nonostante la pandemia, non aveva intenzione di cedere quasi su nulla, soprattutto per quanto riguardava un eventuale sospensione dei i pagamenti.

  A questo punto, la situazione per il presidente Fernandez si complica: lui che si era presentato come il “salvatore della patria” contro gli strozzini del FMI e dei grandi fondi internazionali, in realtà non ha nessun margine di manovra; non solo, per mantenere gli impegni con creditori ed evitare il default dovrà attuare quelle riforme “lacrime e sangue” che pochi mesi prima, in piena campagna elettorale, aveva promesso che mai avrebbe realizzato. E cosi, a partire dal principio di aprile, si è assistito ad un vero e proprio teatrino da parte del governo argentino. Prima il decreto per fermare i licenziamenti dei lavoratori non essenziali, che però hanno subito una riduzione del loro salario; quindi, la promessa, solo mediatica, di una tassa sui grandi patrimoni, mai veramente approdata al Congresso; infine, la finta statalizzazione del consorzio agricolo Vicentin.

  Nel frattempo, l’economia del paese è sempre più a pezzi, con più del 20% delle attività commerciali e piccole imprese di Buenos Aires, il cuore economico del paese, le quali hanno già annunciato che non riapriranno più, e una povertà che ha già raggiunto il 50% della popolazione, per non parlare del rischio di un’iperinflazione, col dollaro che ha già toccato quota 73 pesos . Ma il “governo del popolo” sembra essere indifferente a tutto ciò, anzi, confortato dai complimenti dell’Oms che lo ha elevato a modello, sembra voler prolungare la quarantena fino a metà settembre.

  La sensazione di chi vi scrive è però un’altra. Quella di Alberto sembra una vera e propria strategia, con l’aggravante che molto probabilmente sia stata concordata con il “nemico”, ovvero con gli stessi creditori: approfittando della situazione di eccezionalità venutasi a creare con la pandemia, il governo argentino vorrebbe imporre alla maggioranza dei suoi cittadini quelle riforme neo-liberiste, come quella del lavoro e quella ulteriore delle pensioni, da essi pretese come garanzia dei propri impegni di pagamento, e che in tempi di normalità mai sarebbero state accettate, soprattutto del suo elettorato, infatti: sono le stesse che voleva imporre il precedente governo di destra.

   Questi mesi diranno se le mie ipotesi corrispondono a realtà. Un fatto è certo però: il clima sociale in Argentina si sta facendo incandescente, e le manifestazioni di sabato 20 giugno ne sono una riprova. Alla gente comune non interessano i complimenti di un ente internazionale discutibile come l’Oms, la cui credibilità, soprattutto negli ultimi tempi,  è pari quasi a zero. La maggioranza  degli Argentini si sente presa in giro da un governo che gli ha detto che la quarantena sarebbe durata il tempo necessario per organizzarsi dal punto di vista sanitario, ma poi continua ad allungarla all’infinito, e, soprattutto, non sopporta più la sua indifferenza verso le negative conseguenze economiche di questi mesi di paralisi generale. Il governo di Alberto sta giocando con il fuoco e prima o poi ne rimarrà bruciato.

Antonio Sparano

Ricercatore Università di Buenos Aires

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