Recuperiamo il “tempo” di noi. Riflessioni di Anna Iaccarino

La società in cui viviamo, basata più che mai sull’immagine vincente, competizione, potere, ricchezza come forza e status, rende il “vivere” di chi ne è fuori, chiuso in un recinto escludente, ai margini di un’esistenza privata della dignità di pari diritti.

Se in ogni fase della vita si aspetta sempre un nuovo tempo, quel nuovo tempo che dovrebbe fare la differenza con quel prima che vuol guardare avanti, mai come adesso, in cui il mondo intero si è visto piegato da un fermo di vita che ha mietuto morte, dolore, povertà, questo assunto esistenziale, assume un significato forte.

Non scenderò nel merito di questo momento storico. Di questa catastrofe di emergenza sanitaria, di cui tanto e troppo è stato scritto, costruito, dibattuto, rinnegato. Parto dal dopo che tale non è, perché ancora ne perdura lo stato, seppur in maniera meno decifrabile, ma sicuramente da dramma umanitario che ha generato un cambiamento epocale.

E allora mi avvio proprio su questa rotta. Ovvero provando a calarmi in quello che questo tempo in “attesa” di tempo, tende ad essere ed a fare di noi.

Quindi a slegare qualche nodo, dubbio, e ad immaginare pensieri ad alta voce.

Le risposte che spiegano e assolvono, sono traguardi improbabili da rendere certezze, ma se non diamo coraggio alle domande, non ne avviamo neanche quel principio di via che aiuti a capire.

E quindi, senza assolo di verità in tasca, proviamo a interrogarci.

Cosa è rimasto del significato di umanità come soccorso, comprensione, sentire l’altro? Quanto ascolto viene dato alla sofferenza e quanto rispetto all’etica del riserbo? Quanto spazio riveste il si salvi chi può? Quanta vicinanza accoglie la solitudine degli ultimi? Ci sono ancora raggi di sole che fanno la differenza?

Indubbiamente sì, ma anche tanti segnali in direzioni sempre più smarrite e allarmanti. L’individualismo, l’opportunismo, il trasformismo, la cecità di generosità, stanno pericolosamente diventando un modello di comportamento sociale.

Il vivere è da sempre un treno veloce con posti in prima classe, extra lusso, seduti dietro, ultimi per vagoni abbandonati. Un viaggio che ha una stessa partenza (nascita) e un cammino di passi, distanti e distinti, che non aspetta chi arriva tardi, e ne segna la divisione tra privilegi e quotidianità di fatica, nei lunghi passaggi della vita. Il tempo di oggi ne incarna appieno il volto segnato.

La società in cui viviamo, basata più che mai sull’immagine vincente, competizione, potere, ricchezza come forza e status, rende il “vivere” di chi ne è fuori, chiuso in un recinto escludente, ai margini di un’esistenza privata della dignità di pari diritti.

Le povertà di vita e le fragilità di emotività in subbuglio, rendono vulnerabili e non accettabili chi ne è pervaso, creando un rifiuto da parte della società del benessere “del diverso dalla norma” e determinandone una ghettizzazione socio-economica. Donne e uomini lasciati in balìa di giorni incerti in rincorsa di esistenza, che chiedono solo di evadere dalla precarietà del vivere per sé e i propri figli.

Le colpe o il “concorso” di colpe, sono tante e di tanti.

Probabilmente nessuno è escluso.

Cambia il valore della vita, gli ancoraggi costruiti, la stessa percezione del bene e del male non è più la stessa. La fluidità dello scorrere quotidiano “azzanna” qualsiasi forma pensante, ne limita il dispiegamento e si viene mangiati da chi ha sete di porsi sempre un passo avanti, consumando (ed uccidendo) tutto quello che rimane indietro.

Non sembrerebbero emergere fari che sappiano convincentemente illuminare le menti, al punto da indebolire le resistenze ad un miglioramento della condizione umana.

Forse bisogna guardare, paradossalmente, indietro. È inutile affacciarsi avanti predicando forme sempre più vuote ed indistinte di “nuovismo” artefatto, poggiato sul niente.

Un passo indietro per prospettarne due in avanti, recuperando quei valori offesi che davano senso e futuro. I giovani possono esserne gli interpreti principali, trainando le vecchie generazioni fuori dalla palude in cui il mondo si è arenato, in un afflato comune di perseguimento del sommo bene che riaccenda speranze e domani.

Forse, così potremo ritrovare un po’ del tempo di Noi.

Anna Iaccarino

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