Daverio omaggia Napoli: “Un cocktail culturale fondamentale per l’identità europea”

Lo storico dell’arte a Palazzo reale per una conferenza sul tema “Cos’è la Rivoluzione?”

NAPOLI – “Un buon cuoco deve essere sempre francese ma un buon sarto, invece, sempre napoletano!” Con questa simpatica affermazione riferita ai suoi eccentrici abiti, Philippe Daverio, storico dell’arte nonché famoso personaggio televisivo, ha esordito in una sua conferenza al Palazzo Reale di Napoli ed inserita in un carnet di eventi a margine del recente successo di una mostra dedicata a Gioacchino Murat, re di Napoli per circa un decennio.
Dopo aver celebrato il valore di Napoli come “cocktail culturale” unico al mondo e fondamentale per l’identità della cultura europea, Daverio ha risposto alla domanda alla base del suo attesissimo intervento: “Cos’è la Rivoluzione?”. Secondo il critico, tale espressione non va attribuita solamente, così come accade nei libri di scuola, ai grandi fatti politici: al di là dei giacobini, dei bolscevichi e dei maoisti, la vera rivoluzione è quella che avviene nel tessuto sociale di un popolo, di una nazione. Nella storia d’Italia in tal modo si può forse intendere solo il fascismo in quanto ha avuto il potere di cambiare, anzi stravolgere situazioni preesistenti: non solo equilibri economici ma anche abitudini e modi di vivere. Il singolo “caso Napoli”, invece, appare ancora più complesso: non tanto le vicende drammatiche del 1799, del periodo napoleonico e dei moti antecedenti l’Unità d’Italia, a giudizio del relatore, vanno considerate rivoluzioni, quanto piuttosto la svolta naturalistica e barocca della pittura a partire da “Le sette opere di misericordia” di Caravaggio; oppure il presepe e le tante opere durante il regno di Carlo di Borbone a cavallo della metà del Settecento; o ancora, da lì a qualche decennio, la moda dei bagni a mare introdotta da Carolina, moglie del re Gioacchino Murat. Nella parte conclusiva della sua conferenza, oscillando tra serietà e provocazione, Daverio ha indicato due luoghi campani quali punti di partenza per una rivoluzione dei costumi che “i sessantenni di oggi dovrebbero inculcare nei ventenni, facendo fuori però i quarantenni, proprio come è sempre accaduto di generazione in generazione dalla fine del XVIII secolo sino al 1968”: in primo luogo, la reggia di Carditello, polo economico del periodo borbonico dedito alla produzione casearia e ortofrutticola (da qui si coltivavano e si esportavano i pomodori San Marzano!) nonché simbolo di una riforma agraria imitata successivamente in altre regioni d’Italia e d’Europa; in secondo, il Palazzo Reale di Caserta la cui toelette all’avanguardia, emblema nel Settecento di una vera e propria rivoluzione sanitaria, secondo il noto storico dell’arte dovrebbe meritare agli occhi delle autorità competenti un’attenzione forse superiore a quella per Pompei.
Al coinvolgente intervento di Daverio ha fatto seguito, altresì, un racconto di Fabrizio Mangoni dedicato alla storia di alcune specialità gastronomiche locali nate a partire dal decennio francese. Dalla sua originaria semplicità, esemplificata dalla “salsa al pomodoro” menzionata nel Seicento da Antonio Latini, la cucina napoletana si è ulteriormente arricchita grazie agli apporti rivoluzionari d’Oltralpe ad inizio Ottocento. In tale incontro culturale va identificata così la nascita del timballo e del sartù raccontati da Vincenzo Corrado e soprattutto l’arrivo del babà. Sfornato per la prima volta in Francia nel castello del duca di Lorena, Stanislao Leczinski, persino oggetto di alcune lettere indirizzate al filosofo illuminista Voltaire, interpellato dal deposto re polacco nella scelta di un liquido che potesse garantirne la conservazione, il caratteristico dolciume ha saputo sicuramente conquistarsi nella capitale partenopea un trono ben più solido di quello dei Borbone e di Murat.
Il programma degli eventi a margine della mostra sul decennio napoleonico si concluderà venerdì prossimo, 29 gennaio, sempre a Palazzo Reale con la proiezione di “Fuoco su di me”, un film nato da un’idea di Lamberto Lambertini in cui vengono ricostruiti la personale parabola discendente del sovrano francese ed il fallimento del suo progetto di un’Italia unita.

Angelo Zito

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