Con Caylus alla riscoperta della pittura antica

Presentato al Mann il volume dedicato alla figura del conte-antiquario che pubblicò nel 1756 una raccolta di incisioni che riproducevano gli acquerelli “grotteschi” eseguiti quasi un secolo prima dal pittore perugino Pietro Santi Bartoli

Uno studio sulla pittura romana mediato dalla figura di un collezionista francese del Settecento, considerabile come uno dei precursori della moderna archeologia. E’ stato presentato al Mann “Caylus e la riscoperta della pittura antica”, volume scritto da Erminia Gentile Ortona e Mirco Modoli, dedicato alla figura del conte-antiquario che pubblicò nel 1756 una raccolta di incisioni che riproducevano gli acquerelli “grotteschi” eseguiti quasi un secolo prima dal pittore perugino Pietro Santi Bartoli.
Ad illustrare ai presenti la vicenda storica alla base della pubblicazione la storica dell’arte Giulia Fusconi: “Pietro Santi Bartoli realizzò nella seconda metà del XVII secolo circa 60 disegni acquerellati che riproducevano pitture emerse dagli scavi archeologici presso diverse zone di Roma, come la vigna dei Nobili sul colle Oppio e la necropoli di villa Corsini sul Gianicolo – ha così esordito Fusconi – Tali raffigurazioni furono acquistate intorno al 1680 dal direttore dell’Accademia di Francia e donate a re Luigi XIV. Tuttavia, il suo chirurgo di corte riuscì furbescamente a rubarle e solo nel 1756 pagando gli eredi di quest’ultimo Caylus giunse in possesso di circa la metà di esse (33). Da qui, poi, l’idea della “Recueil de peintures antiques”, un volume nel quale il conte dichiarò la propria passione per il disegno riproducendo ad incisione le opere del Bartoli che aveva acquisito. Caylus – ha concluso la relatrice – volle dunque creare un libro per gli amanti della pittura “tout court”, cioè per coloro che sapevano apprezzare i colori “puri e interi” dei Romani”.

 

 
Federico Rausa, docente di Archeologia classica presso l’Università Federico II, ha delineato meglio alcuni aspetti riguardanti la figura di Bartoli: “Da pittore Bartoli raggiunse una notevole conoscenza della materia archeologica, sino a diventare Commissario alle Antichità di Roma, attraverso la figura di Giovan Pietro Bellori, artista al quale si ispirò nella pubblicazione di opere dedicate alle colonne coclidi, ai mausolei e alle lucerne sepolcrali dell’Urbe e dei suoi dintorni. E’ sicuramente apprezzabile la scelta da parte degli autori di pubblicare alcuni brani delle” Memorie” del pittore in cui vengono descritte le realtà archeologiche di volta in volta scoperte e che sono ben riconoscibili negli acquerelli del Caylus”.
Valeria Sampaolo, già direttrice del Museo archeologico napoletano ed oggi Conservatore delle Collezioni della medesima struttura, ha tentato di stabilire alcune analogie tra i soggetti della Recueil ed il repertorio pittorico scoperto dagli scavi vesuviani:” Ho avuto modo di riscontrare la forte somiglianza di una figura femminile velata raffigurata dal Bartoli e proveniente da una delle “Stanze”di Vigna dei Nobili a Roma con un personaggio quasi analogo dipinto nell’atrio della Casa del Naviglio e nella Casa della Caccia Antica di Pompei – ha spiegato la studiosa – Il filo rosso che unisce il volume di Caylus a quelli delle Antichità Ercolanesi è sicuramente la loro comune destinazione alle corti regnanti dell’epoca e di conseguenza lo stimolo ad una produzione ispirata all’antico presso le più importanti botteghe di artigiani ed orefici”.
Dopo aver ringraziato i relatori per la loro accurata esegesi del libro, Mirco Modoli ha lanciato un’idea che si spera possa essere attuata in futuro: una mostra che unisca il Mann, Roma e la famiglia Bartoli: “Pietro Santi ebbe un figlio, forse meno talentuoso, Francesco, che negli anni Venti del Settecento realizzò alcune raffigurazioni delle pitture trovate nella Domus Transitoria del colle Palatino. Queste furono staccate per finire nella collezione della potentissima famiglia Farnese. Purtroppo oggi giacciono tristemente qui a Napoli in deposito e per di più i disegni di Francesco Bartoli si trovano all’estero. Sarebbe bello – ha così terminato uno degli autori – creare un allestimento proprio al Mann nel quale poter unire tanto le opere del pittore settecentesco quanto i suoi pregevoli modelli originali”.

Angelo Zito

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