Antonello. Che bello, che bello, che bello

Antonello da Messina incanta il pubblico napoletano. Decine di migliaia i visitatori in poche settimane a Palazzo Zevallos, grazie ad un dipinto prezioso, un progetto unico nel suo genere e un passaparola infallibile

 

Ho un debito di affetto con Antonello.

Di affetto e di riconoscenza visto che grazie –o per colpa?- sua ho dovuto dare tre volte l’esame di storia dell’arte medievale e moderna (un’impresa titanica, vi assicuro), il cui risvolto positivo è stato –quantomeno-perdermi nei suoi viaggi, nella sua tavolozza, in quel modo -tutt’ora irraggiunto- di ritrarre mercanti e uomini di chiesa.

In queste settimane Antonello è tornato a Napoli, non più evidentemente alla bottega di Colantonio, che pure è morto da quei cinque secoli abbondanti, ma a Palazzo Zevallos dove è stato esposto per alcune settimane il Ritratto d’Uomo, uno dei suoi dipinti più celebri. La disamina del lavoro di Antonello è perfettamente inutile in questa sede,  quello che invece  mi piace raccontare è il piccolo miracolo culturale che una piccola tavola dipinta ad olio ha provocato e continua a reiterare da giorni.

Intorno all’esposizione del dipinto, evento che di per sé si risolve in una manciata di minuti, è stato messo in piedi qualcosa che in questa città non si vedeva da anni, che ci ha regalato una ventata di internazionalità, ma che è riuscita, soprattutto, a condurre per mano in un luogo d’arte anche i laici, gli scettici, quelli che di Antonello non hanno mai sentito parlare. E lo ha fatto solleticandone la vanità, il più inconfessabile narcisismo, lo ha fatto non raccontando il pittore, la sua vita, come e perché dipingesse, ma facendo entrare, letteralmente, i visitatori nell’opera d’arte, rendendoli protagonisti.

 

Cinque eccellenze della italica fotografia sono state chiamate a raccolta da Mario Laporta, fotoreporter napoletano che ha coordinato il progetto (Ri-tratti, la fotografia incontra Antonello da Messina, il titolo),  per ritrarre gli abitanti della nostra città, reinterpretando il lavoro che fu di Antonello.

È così che Francesco Zizola, pluriacclamato fotografo di guerra, racconta i volti dei suoi modelli rubandone l’anima e restituendocene umanità,  segni, carne, o Ugo Pons Salabelle maestro delle still life riproduce con fedeltà assoluta il rapporto tra luci ed ombre del dipinto. C’è stato poi chi, come Paolo Ranzani (al cui obiettivo io stessa mi sono affidata), ha scelto di interpretare il ricco Trivulzio inserendo nei suoi scatti il movimento, dando  ai ritratti una suggestione quasi fantasmatica che ammicca a Bragaglia e alle sue sperimentazioni fotografiche. Daniele Ratti ha ‘spostato l’inquadratura’,  trasformando i suoi modelli in severi prelati dall’altissimo lignaggio, Cesare Accetta, infine, ha svelato i volti dei suoi concittadini investendoli di tagli di luce potenti, protagonisti essi stessi della composizione.

 

Di fronte all’obiettivo dei cinque fotografi, per giorni decine di napoletani vanitosissimi e curiosi si sono lasciati ritrarre, posando per lunghi minuti, vestiti, acconciati alla maniera rinascimentale, provando per qualche istante l’ebbrezza di sentirsi importanti. In un momento storico in cui l’autocelebrazione del sé si risolve in un selfie che ci faccia sembrare più alti, più magri, più tonici, più giovani, più freschi, Antonello –e naturalmente chi con lui ha dato vita a questo progetto- hanno operato, appunto, il miracolo, lasciando che il senso prendesse il sopravvento sulla sensualità, il contenuto sulla bellezza, la sostanza sulla forma. Ciò che ci ha sedotto non è stata la speranza di apparire più belli, ma di essere parte di un tutto, protagonisti di un esperimento culturale, interpreti di un momento di storia, di essere, insomma, consegnati all’eternità come già fu per Trivulzio.

Grazie Antonello, hai levato per qualche settimana un po’ di polvere da questa polverosa città d’arte, riportandola ai fasti degli anni ’50 con un happening lungo settimane.

 

Il Ritratto d’Uomo è tornato a Torino, ma a Palazzo Zevallos, fino al 14 febbraio, sono in mostra 25 ritratti (cinque per ogni fotografo) e un video che trasmette in loop tutte le foto scattate nelle scorse settimane.

 

Sarah Galmuzzi

 

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