A chi gioverà questa emergenza?

Mentre la popolazione mondiale è impegnata a fronteggiare la pandemia da coronavirus, le oligarchie del pianeta non solo pianificano il suo futuro, ma lì dove possono, lo stanno già adattando alle proprie esigenze

In ogni crisi politica, anche quelle generate dalle emergenze sanitarie, c’è sempre chi se ne giova; e quella attuale, innescata dalla pandemia di coronavirus, non fa eccezione. La storia recente ci dice che, fatte alcune eccezioni, chi ne trae giovamento sono sempre le stesse classi sociali, ovvero i padroni delle multinazionali e dei grandi gruppi finanziari, ed anche per questa emergenza sanitaria globale la storia sembra ripetersi. Con questo non si vuole sminuire la gravità della situazione: chiunque dotato di un minimo d’empatia non può restare impassibile di fronte alle migliaia di deceduti di questi giorni. Eppure, già in questo momento storico, bisogna andare al di là del dolore e la rabbia: è necessario analizzare approfonditamene quanto ci sta succedendo, per evitare che il prossimo futuro sia ancora peggiore.

Foto di Fulil Pueller

   A bene guardare, il grande perdente in questa emergenza mondiale è la politica, ma, a dispetto di quanti possano credere, non è il virus il vincitore in questa partita, bensì quella che all’apparenza sembra la più danneggiata, vale a dire l’economia, soprattutto quella finanziaria. È evidente dal collasso in cui sono precipitati i sistemi sanitari dei loro paesi, e non solo quelle, che la risposta politica di buona parte dei governi europei, di fronte alla rapida propagazione dell’epidemia da coronavirus, è stata lenta e tentennante. Eppure, non possono dire che non sapevano del rischio di una pandemia: al di là della relazione di un gruppo di esperti risalente al passato settembre (e dal titolo: “Un mondo a rischio”) in cui si avvertiva loro, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’FMI, di una tale possibilità, questi governanti ha avuto ben tre mesi per studiare l’evoluzione dell’epidemia in Cina, fuoco della crisi, e le misure efficaci attuate dal suo governo per combatterla e arrestarla. E non ci si venga a dire che le misure draconiane decise dal governo totalitario cinese non potevano essere applicate anche nelle democrazie europee, perché lesive delle libertà individuali dei cittadini; nelle ultime settimane, il governo italiano, non solo hanno optato per la quarantena obbligatoria, ma sono arrivati al punto di schierare l’esercito per farla rispettare.

   Ora sembra si sia a deciso anche a fermare tutte quelle attività industriali non essenziali; ma si sa bene che in situazioni come queste la tempistica è essenziale: l’aver perso due settimane almeno sulla decisione o meno di chiudere quasi tutte le fabbriche ha fatto si che nell’Italia del Nord, dove si concentra l’attività industriale del paese, il virus continuasse a diffondersi, nonostante la chiusura di scuole, uffici, e luoghi di ritrovo. Nonostante la quarantena obbligatoria, infatti, nella sola Lombardia ogni giorno hanno continuato a circolare per strada, nei mezzi pubblici ed ovviamente negli stabilimenti più di 300.000 lavoratori, ovvero, potenziali vittime o portatori del virus. Ma perché è successo tutto questo in Italia e, più in generale, in Europa?

   La risposta è semplice: per la debolezza della politica. Non è un caso che i paesi meglio attrezzati per questa emergenza sono quelli in cui vige un sistema socialista. E non dipende solo dall’accentramento di cui godono i governi di questi paesi, ma anche, e soprattutto, dalla loro concezione della società. Al di là di ciò che ciascuno di noi possa pensare riguardo al socialismo o comunismo, sta di fatto che in paesi come Cina, Cuba, Vietnam, Venezuela, l’aspetto comunitario domina su quello individualista. Questa priorità del noi sull’io propria delle loro società e della loro cultura si riflette non solo nella struttura dello stato, con la presenza dominante del pubblico nelle loro attività produttive, ma anche nelle scelte dei loro governanti rispetto al presente storico. E così, per esempio, assistiamo in Cina ad un blocco totale delle attività industriali nelle province colpite dall’epidemia, perché, per il governo comunista cinese, il benessere e la salute dei propri cittadini è prioritario rispetto alla momentanea perdita economica conseguente ad un blocco parziale della propria attività industriale.

  Nelle democrazie cosiddette liberali, invece, l’epidemia del coronavirus sta mettendo in evidenza tutta la debolezza della politica e, soprattutto, ci sta mostrando chi detiene realmente il potere: i grandi gruppi bancari e le multinazionali. Grazie alle misure economiche decise dalle principali potenze occidentali per fronteggiare questa crisi, le oligarchie del mondo non solo riescono a mantenere inalterati i propri capitali, ma, in molti casi, riescono anche ad incrementarli. E questo, appena l’emergenza passerà, sarà deleterio per la gran parte dei cittadini di questi paesi, perché rafforzerà le lobby economiche rendendole ancora più influenti e decisive nelle politiche nazionali e transnazionali, il che si tradurrà in una riduzione sostanziale dei diritti sociali. Del resto, basta osservare con attenzione alcuni segnali che ci arrivano dai mercati e dalla politica per rendersi conto che no si tratta di infondate congetture.

  Partiamo dai mercati. Pochi analisti economici e politici si sono soffermati sull’insolita scelta di lasciare aperte le borse durante questo periodo, nonostante il drastico rallentamento, per non dire la quasi paralisi, dell’economia reale. Non c’è bisogno di una laurea in economia per capire che, in un’economia globale governata dalla leggi dal libero mercato, ovvero, dalla legge della giungla, una decisione del genere favorisce (volutamente?) i gruppi monopolistici rispetto alle medie imprese perché, potendo contare su capitali quasi illimitati, possono comprare le azioni di queste ultime a prezzi ridicoli.

  Dal punto di vista politico, invece, è evidente che i provvedimenti presi dai singoli governi per fronteggiare la crisi economica seguita all’emergenza tendono a favorire soprattutto le multinazionali e i grandi gruppi bancari, e a disattendere le esigenze delle piccole imprese e di milioni di lavoratori. La ricetta proposta dalla BCE ed eseguita come un mantra dai singoli stati della UE è sempre la stessa: fiumi di soldi pubblici alle multinazionali e alle banche. Ovviamente, per gli aiuti di stato queste ultime non sono tenute a prendersi nessun obbligo o impegno verso i propri dipendenti; ed infatti, gli esperti già parlano, per il dopo emergenza, di 25.000.000 di lavoratori nel mondo a rischio licenziamento. I lavoratori dipendenti, gli autonomi, i commercianti e le piccole e medie aziende, come sempre, sono quelle che pagheranno lo scotto della recessione che verrà, mentre le grandi lobby vedranno incrementati i loro capitali.

 Ovviamente la povertà crescente avrà delle ripercussioni sociali: scioperi, manifestazioni e sommosse popolari, che i governi di alcune democrazie europee pensano di poter prevenire già durante la quarantena ricorrendo a metodi da giunta civico-militare. Da alcune settimane, infatti, le strade di Milano, Roma, Napoli, sembrano quelle di Buenos Aires o Santiago del Cile ai tempi delle sanguinarie dittature della decade del ’70 con posti di blocco dell’esercito e delle forze dell’ordine ad ogni angolo di strada.

  Ma il laboratorio politico preferito delle oligarchie del pianeta, anche in tempi di coronavirus, resta ancora l’America Latina: il continente dove sperimentare nuove tecniche di repressione delle masse e di limitazione dei loro diritti. Martedì 17 marzo, quando solo si registravano 58 infettati per coronavirus in Ecuador, il presidente Lenín Moreno ha decretato lo “stato d’eccezione con coprifuoco” dalle 21:00 alle 5:00. Provvedimenti simili sono stati presi anche in Perù, dove, da mercoledì 18, con solo 145 casi confermati, dopo aver annunciato lo “stato d’emergenza”, il presidente Martín Vizcarra ha decretato l’ “immobilizzazione sociale obbligatoria” dalle 20:00 alle 5:00. In Bolivia, cono 27 casi confermati, anche la presidente ad interim, Jeanine Áñez, ha decretato il coprifuoco per dodici ore al giorno, dalle 18:00 alle 6:00; inoltre, il Tribunale Superiore Elettorale (TSE) ha annunciato il rinvio delle elezioni presidenziali previste per il 3 maggio a data da decidersi. In Cile, che con i suoi 632 casi è uno dei paesi della regione con il maggior numero di contagi, il presidente Piñera ha decretato lo “stato d’eccezione” per 90 giorni. Con questo decreto attribuisce maggiori poteri alle forze armate in un contesto sociale alquanto infuocato, caratterizzato da più di 5 mesi di protesta da parte di studenti e classi povere che chiedono invano una nuova costituzione. Questo decreto fornisce inoltre il presidente Piñera di ulteriori poteri decisionali come l’autorizzazione all’isolamento di intere città e a dichiarare il coprifuoco quando lo riterrà necessario. Infine, il Brasile di Jair Bolsonaro, forse il più grande capolavoro delle destre oligarchiche del continente degli ultimi 30 anni. Per quanto riguarda le restrizioni relative alla circolazione dei cittadini, il governo non ha ancora attuato nessuna quarantena o isolamento. Sul piano economico, invece, per far fronte alla crisi economica impellente, Bolsonaro, seguendo i suggerimenti del suo super-ministro dell’economia, Paulo Guedes, ha cercato di imporre per decreto una misura provvisoria ultra-liberista. Il provvedimento  autorizzava gli impresari a sospende il lavoro e lo stipendio dei propri dipendenti fino a 4 mesi, previo accordo tra le parti; il che, in un paese dove più del 70% dei lavoratori sono precari, avrebbe voluto dire accettare o ritrovarsi disoccupati. Per adesso, il decreto è stato respinto dal Presidente della Camera dei Deputati perché considerato “claudicante”, ma c’è da scommettere che la bestia presidenziale ci riproverà.

  Naturalmente, per molti di voi che state leggendo, i timori di chi vi sta scrivendo potranno apparire eccessivi, forse, quasi deliranti; eppure, in questo momento storico, è più che mai fondamentale la prudenza, perché, come diceva un vecchio democristiano: a pensar male si fa peccato ma quasi sempre ci si indovina.

Antonio Sparano

ricercatore all’Università di Buenos Aires 

(foto copertina di Carla Motto)

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