Allarme camorra, business accoglienza e documenti ai jihadisti

La relazione annuale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza: l’interesse dei clan per i clandestini, sfruttati anche nel lavoro nero. La Campania si conferma centrale della contraffazione per i terroristi. Spaccio di droga, i social nuove piazze virtuali

La camorra nel business dell’accoglienza e del traffico di documenti falsi per clandestini. L’allarme lo lancia la relazione 2018 sulla politica per l’informazione della sicurezza, presentata a Palazzo Chigi. Nella contraffazione documentale, l’intelligence conferma il ruolo chiave della Campania anche per il radicalismo islamico. Intanto, nello spaccio di droga, avanza la nuova frontiera dei social network, piattaforme per piazze virtuali.

 

 

IL BUSINESS CLANDESTINI. L’interesse dei clan per i clandestini è inequivocabile, nel documento del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. E le ragioni non sono certo umanitarie. “Per quanto concerne l’immigrazione clandestina, sono emersi puntiformi tentativi – scrive il Dis – di ingerenza nel sistema di accoglienza da parte di soggetti vicini ad organizzazioni criminali autoctone, anche in relazione alla possibilità di intercettare cospicui finanziamenti pubblici. Parimenti, è stata evidenziata, principalmente in area campana, la disponibilità di alcuni clan a fornire supporto logistico ai migranti, essenzialmente nel procacciamento di documenti contraffatti”. Peraltro “gli stessi migranti costituiscono bacino di reclutamento sfruttato tanto dai circuiti malavitosi nazionali, specie per attività lavorative in nero, quanto, in maniera più strutturata, da sodalizi stranieri”. Ma non ci sono solo gli immigrati. Ancora una volta, come sospettato fin dall’11 settembre 2001, le centrali campane sembrano triangolare col radicalismo islamico. “Uno dei primari ambiti di contaminazione tra circuiti criminali e terroristici, trasversale alle direttrici fin qui considerate – afferma la relazione-, rimane quello dell’approvvigionamento di documenti di identità e titoli di viaggio. La falsificazione documentale, infatti, ha svolto, anche nel 2018, un ruolo essenziale nelle dinamiche di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, rappresentando uno dei principali fattori di vulnerabilità in ambito europeo. Il tema ha costituito oggetto di dedicata attività intelligence: sul fronte esterno, con riguardo soprattutto alle citate reti di facilitazione basate nei Balcani; sul territorio nazionale, con specifico riferimento alla piazza campana, tradizionale bacino di approvvigionamento per soggetti e gruppi della più disparata matrice, inclusa quella jihadista”. A questo punto, però, i servizi segreti italiani ipotizzano saldature tra fenomeni diversi. “Serrata vigilanza – avverte il Dis – è stata riservata al rischio di infiltrazioni terroristiche nei flussi migratori”. Infatti, più volte segnalato “sul piano informativo, tale pericolo è stato confermato da sviluppi investigativi che hanno attestato l’utilizzo – per altro sporadico e non strutturale – dei canali dell’immigrazione clandestina per il trasferimento in Europa di estremisti sub-sahariani”. E qui ritorna il crocevia della Campania. “Significativo, al riguardo, l’arresto a Napoli – ricorda il testo – rispettivamente nell’aprile e nel giugno, di due cittadini gambiani ritenuti affiliati alla formazione di al Baghdadi, giunti via mare dalla Libia dopo un periodo di addestramento in un campo gestito da Daesh nel deserto libico”.

 

 

I SOCIAL NUOVE PIAZZE DI SPACCIO. A questo punto, la relazione disegna gli scenari della criminalità organizzata. “Nell’ambito del panorama criminale napoletano, caratterizzato da equilibri incerti e – spiegano i servizi – da alleanze meramente tattiche che favoriscono un’accesa e continua conflittualità, è possibile distinguere tra: clan storici, capaci di unire al controllo militare e allo sfruttamento delle attività sul territorio (racket, spaccio di stupefacenti e smercio di prodotti contraffatti) una consolidata rete relazionale ed un profilo imprenditoriale; clan minori, che cercano sponde in alleanze tattiche con i potentati camorristici e da questi ricevono sia i rifornimenti di stupefacenti da immettere sul mercato, sia la gestione ‘in appalto’ delle attività illegali maggiormente esposte all’azione di contrasto; aggregazioni estemporanee, nate sovente da scissioni interne ai clan e formate da giovani leve, spregiudicate tanto nelle alleanze quanto nelle modalità d’azione”. In tale quadro “i clan storici, anche a seguito della scarcerazione di esponenti di primo piano, sono parsi interessati a svolgere un ruolo di mediazione rispetto ai gruppi minori, tentando una ridefinizione delle competenze territoriali, resa assai complessa dalla vicinanza fisica fra i sodalizi”. Quindi, il ricorso ormai abituale al web. “Anche in questa chiave, oltre che in un’ottica di elusione dell’azione di contrasto – si legge – parrebbe porsi il crescente ricorso a ‘piazze di spaccio virtuali’, gestite sui social network con consegna dello stupefacente a domicilio anche in aree della città al di fuori della “competenza” dei singoli clan”. Lo spaccio social non è questione di moda, tuttavia. “Si tratta di una pratica – aggiunge la relazione – diretta a contenere la conflittualità interclanica attraverso la de-territorializzazione delle attività di smercio, che pure potrebbe trovare l’opposizione degli stessi sodalizi, cui il superamento della ‘logica della piazza’ toglierebbe quella ‘legittimazione sociale’ sulla quale si basano”. Una necessità immutabile nel tempo, almeno quella.

Gianmaria Roberti

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