Campania:  l’affare della formazione, milioni di euro in fumo senza creare lavoro

Molti enti sono di proprietà di organizzazioni imprenditoriali, associazioni no profit. Il Movimento 5 Stelle: “Presenteremo un’articolata interrogazione

La formazione professionale in Italia, una macchina macina-soldi. Le Regioni bruciano quattrini tra enti regionali di formazione professionale, consorzi di bonifica, agenzie, borse lavoro nazionali e locali,  enti strumentali e bilaterali. E molti enti o agenzie di formazione sono di proprietà di organizzazioni di imprenditori o di esercenti, sindacati, consorzi di cooperative, associazioni no profit.   Siccome la formazione è d’obbligo, vengono organizzati corsi  in partnership, coinvolgendo Università o enti para regionali. Negli ultimi anni grandi affari sono stati concretizzati anche con i corsi per la sicurezza antinfortunistica. In Campania, milioni  di euro pubblici provenienti da fondi comunitari vengono polverizzati in centinaia di migliaia di  progetti di formazione inutili, privi di qualsiasi seria valutazione o finalizzazione al lavoro. Per un ente di formazione  è facile ottenere un finanziamento pubblico: basta raccogliere un certo numero di disoccupati, contattare dei docenti e proporre un progetto formativo alla Regione, senza bisogno di dimostrare se in passato un corso simile abbia dato dei risultati positivi  sul piano occupazionale.

Eppure, l’accordo con il quale l’Italia fissa gli obiettivi per accedere alle risorse del Fondo sociale europeo per il periodo 2014-2020 avrebbe dovuto rimediare ai problemi di carattere occupazionale e sociale. Invece, i  corsi di formazione alimentano anche clientele e sprechi: tutor e docenti pagati profumatamente a peso d’oro. Catering  e gadget costosi. E poi ci sono le truffe vere e proprie:  fatture fittizie o gonfiate per servizi mai forniti sui corsi di formazione. Per non parlare dei giovani sfruttati con rapporti di lavoro veri e propri, gratuiti e senza contributi, spacciati per tirocini: 500 euro al mese di compenso, quasi sempre pagati in ritardo, e poi alla scadenza dei sei mesi vengono lasciati a casa e viene preso un nuovo tirocinante. Emergono molte responsabilità e complicità. Responsabilità e complicità che coinvolgono anche associazioni imprenditoriali e organizzazioni   sindacali che in alcuni enti svolgono il ruolo di gestori.

 

Sull’argomento formazione scende in campo il gruppo regionale del Movimento 5 Stelle. “Esigiamo chiarezza. Presenteremo un’articolata interrogazione al Presidente della giunta regionale e all’assessore alla formazione per conoscere nei dettagli il numero di enti  di formazione  e bilaterali accreditati, la qualità e l’idoneità della strutture dove si svolgono i corsi, l’inquadramento contrattuale del personale impiegato negli enti, la funzione dei docenti e di tutor, i risultati conseguiti dai Centri sperimentali di sviluppo delle competenze,  la finalità dei corsi, i posti di lavoro creati, i finanziamenti concessi dall’ente regionale” – sottolinea Maria Muscarà(foto in alto) capogruppo del consiglio regionale del M5s. “Non escludiamo di coinvolgere altre istituzioni” – aggiunge Muscarà.

Da un recente  monitoraggio Isfol e Italialavoro sulle politiche attive in favore di cassintegrati , emerge chiaramente come gli enti formativi (prevalentemente privati “accreditati”) hanno puntato soprattutto a “riempire le classi” in corsi di inglese e informatica dagli esiti occupazionali incerti.  È difficile credere che le chance occupazionali nel settore dei servizi di una persona di quarantacinque anni migliorino grazie a un corso di carattere “generalista“ della durata di un paio di settimane, in un mercato dove per un eventuale e analogo posto si candidano giovani neolaureati (con esperienze anche all’estero) che possono entrare in azienda con uno stage di sei mesi a 400 euro. Ovviamente, in assenza di adeguati e “generosissimi” incentivi alla domanda di lavoro, le chance per il quarantacinquenne di trovare lavoro sono estremamente basse e i corsi sono praticamente inutili o al massimo paragonabili a un “hobby”. Infatti, la scelta del percorso è spesso basata sulla “discrezionalità” del disoccupato oppure è frutto di un suggerimento da parte degli stessi enti privati che hanno tutto l’interesse a indirizzare il beneficiario verso la propria offerta formativa. Inoltre, sempre dal monitoraggio Isfol, si evidenzia come il parcheggio in formazione è stato il comportamento tipico tenuto anche dalle agenzie private di collocamento (Apl): non solo non hanno collocato quasi nessuno, ma hanno sostanzialmente erogato gli stessi servizi dei Centri per l’impiego. Le Apl erano state coinvolte perché reputate più “capaci” nel collocare il disoccupato, invece hanno parcheggiato queste persone in programmi volti solo all’occupabilità, senza raccogliere minimamente le esigenze provenienti dalla domanda di lavoro (supponendo che ci fossero) e senza attivarsi nella fase di intermediazione, perché questa rappresentava chiaramente un rischio d’impresa troppo alto.

                                                                                                                            CiCre

 

 

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