E anche questo Natale se lo semo levato dalle palle (cit.)

Il Natale è davvero così orribile? Sì lo è. Per molte ragioni, alcune delle quali elencate di seguito. Ma l’elenco è parziale, raccontaci anche tu perchè odi il Natale

Dice che a Natale siamo tutti più buoni, ma questo, ca va sans dire, non vale necessariamente per ciascuno di noi, ed io, nel mio piccolo, mi pregio di fare eccezione alla regola che, a Natale, sono stronza esattamente come ogni altro giorno dell’anno e profondo insofferenza e disappunto in ogni dove, così per generare il solito risentito sentiment tra i membri della comunità dei gattini che potranno, con l’occasione, accanirsi su chi scrive tra un pezzo di baccalà pastellato e una castagna del prete.

Mi appresto quindi ad elencare le cose che mi fanno desiderare di svegliarmi direttamente il 27 dicembre.

 

    1. I regali. Contravvenendo alla regola secondo cui il vero dono non vuole reciprocità, le ore che precedono la vigilia non sono altro che una marcia forzata alla ricerca dell’oggetto che più ci faccia fare bella figura con una zia Patrizia qualunque, ma senza spendere più di 10 euro che tanto comunque quella vecchia la casa di Ischitella ce la lascia a Francesco e Marina.

 

  • Le canzoni. Tutte ragionevolmente brutte, fatta eccezione per la sempiterna Vorrei cantare insieme a voi che scalda i cuori di bevitori di Coca- Cola e non dal 1983, ci ricordano per tutta la durata dell’avvento le nostre difficoltà con la lingua d’Albione. E gingol bel gingol bell gingol olduei riecheggia imbarazzantemente in ogni dove.

 

 

  • Gli auguri. Siamo costretti a farli a tutti, senza possibilità di scampo. A stringere mani sudaticce, baciare guance impregnate di fumo o di dopobarba all’aroma di toporagno selvatico. E se non abbiamo fatto la promo 1000 sms a 5 euro ci rifondiamo anche terzi e capitali. Per ogni anche a te è famiglia in realtà nel nostro intimo si agita un sonoro ma chi te sape.

 

 

  • I film di Natale. Ce ne sono di due tipi: quelli che raccontano di grandi amori che non finiscono fanno dei giri immensi e poi ritornano, e quelli invece che propongono credibilissime storie di bambini abbandonati nella neve che poi arriva il lupo che i bracconieri volevano segare e li reca in salvo. In entrambi si piange moltissimo. E il rimmel si strucca.

 

 

  • La stella di Natale. Nota nel mondo botanico come Euphorbia pulcherrima è una pianta di rara bruttezza non aiutata certo dai quintali di porporina con cui si è soliti, incomprensibilmente, aspergerla.  Non dura mai oltre la Befana: che la si metta sul terrazzo, in bagno, o dietro la finestra, fatto il 4 gennaio, essa muore. Sarà perché è originaria del Messico, dove la temperatura media si attesta intorno ai 41 gradi centigradi?

 

 

  • I cesti. Dal fruttivendolo alla più sofisticata delle eno-gastronomie, tutti propongono cesti-regalo. Vale a dire un tripudio di salami, ananas, provoloni, Berlucchi e torroni spaccadentiere affogati in quella paglietta trasparente che a pasqua ancora ti ritrovi in giro per casa. Dice ma quelli i regali delle cose che si mangiano sono sempre graditi. Il vero problema è, passate le feste, dove cazzo metti il cesto.

 

 

  • Le foto. Va bene, ciascun momento va ricordato e sì, ogni anno, nelle nostre ottuagenarie famiglie potrebbe essere l’ultimo così al completo, ma non riesco ad immaginare qualcosa di più umiliante che essere consegnati all’eternità -con il pantalone sbottonato e/o le calze sfilate- dallo zio, quello simpatico, che posta a manetta le foto su facebook, ma dai, tanto è per ridere.

 

 

  • Il menù. Inizia ad essere oggetto di interminabili tavole rotonde già a fine novembre. E nonostante ogni anno ci si ripeta no, ma dai, facciamo qualcosa di nuovo, si finisce sempre per soccombere alla tradizione. Il baccalà? E no si deve fare, almeno un pezzetto. L’insalata di rinforzo ma chi se la mangia, poi che schifo i sottaceti, oh, ma si chiamano papaccelle. Il capitone mi fa impressione, è molle, ma ce lo dobbiamo mangiare per forza? Sì.

 

 

  • Il portiere. Sciagura che si abbatte su molte italiche famiglie, quella del portiere è una figura che si colloca a metà strada tra il venditore di calzini e l’operatore di call center. Ti si attacca ai reni fino a che non lo ungi doverosamente, e mentre gli stai rifilando il pandoro Paluani che ti hanno regalato in ufficio un solo pensiero ti attraversa la mente: speriamo che ‘sto cretino almeno quest’estate le piante non me le fa morire.

 

 

  • Gli avanzi. Least but not last, ciociole, struffoli, insalata russa, mustacciuoli e canapé al salmone si rimbalzano -se tutto va bene fino al 27 che non cuciniamo niente tanto stanno gli avanzi- di casa in casa, di famiglia in famiglia, in un ping pong gastronomico da fare ribrezzo al più audace dei Tognazzi. E quando –con non poco sollievo- hai dato fondo all’ultimo pezzo di torrone, un occhio al calendario, ed è subito Pasqua.

 

Sarah Galmuzzi

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