Parole d’autore – Pasolini e la vera faccia della tolleranza

Per quanto si viva in una società che si autodefinisca democratica e tollerante nessuna maggioranza potrà mai abolire dalla propria coscienza il sentimento della diversità delle minoranze

“La tolleranza, sappilo, è solo e sempre puramente nominale. Non conosco un solo esempio o caso di tolleranza reale. E questo perché una tolleranza reale sarebbe una contraddizione in termini. Il fatto che si tolleri qualcuno è lo stesso che lo si condanni. La tolleranza è anzi una forma di condanna più raffinata”. Pier Paolo Pasolini in un articolo datato 20 marzo 1975, articolo che rientra nel suo progetto pedagogico-sociale introducendo il lettore/Gennariello (il nome fu volutamente di tradizione partenopea poiché Pasolini ravvede in Napoli l’ultima metropoli plebea in cui vitalità e uguaglianza si confondono: “Preferisco la povertà dei napoletani al benessere della repubblica italiana”) alla realtà che lo circonda, in tutte le sue sfumature: politica, sociale, linguistica, comunicativa. Nelle righe di cui sopra si Pasolini si definisce un “tollerato” come “un negro in una società razzista che ha voluto gratificarsi di uno spirito tollerante”. Per quanto si viva in una società che si autodefinisca democratica e tollerante “nessuna maggioranza potrà mai abolire dalla propria coscienza il sentimento della diversità delle minoranze”: il ghetto mentale istituitosi resta, immutato.

 

Il problema resta il riconoscimento delle colpe: l’educazione clericale, la politica nostrana attuale (dal 1945?), una società pervasa dall’odio e dall’arrivismo?. Forse la colpa risiede a partire dallo stesso appellativo di “diverso” nato dalla presunta superiorità da chi pronuncia la stessa, come se ci fosse una definizione di normale e di diverso: “Il negro sarà libero, potrà vivere nominalmente senza ostacoli la sua diversità eccetera eccetera, ma egli resterà sempre dentro un ghetto mentale, e guai se uscirà da lì”. Guai se uscirà da lì: ossia guai all’immigrato che arriverà da noi, guai al musulmano di turno, guai agli uomini e donne che chiedono il semplice diritto di poter vivere insieme magari con figli, e non si tratta di omosessuali o lesbiche ma semplicemente uomini e donne che vivono la propria sessualità in modo naturale così come per tutti, niente di più e niente di meno. Nessuno può avere la presunzione di conoscere la normalità: normale sarebbe vivere nel pieno diritto di tutti, dall’interazione umana alla vita quotidiana che, al contempo, dovrebbe essere garantita dallo stato, lo stesso stato che pone, ed impone, una logica laida, malsana di egualitarismo, che di eguale ha ben poco: dalla garanzia all’istruzione, al lavoro, a beni comuni quali l’acqua, servizi pubblici di base, l’edilizia abusiva, riconoscimento dei diritti di cui sopra, malaffare, connubio camorra/imprenditoria. Per qualche dato in più, uno sguardo all’ultimo rapporto annuale di Amnesty International sul nostro Bel Paese è più che dovuto: migliaia di famiglie rom continuano a vivere segregati in campi e rifugi senza che sia stata effettuata la “strategia nazionale per l’inclusione dei rom (Snir)”-ciò implica la segregazione razziale, violenza e odio- i rom continuano ad avere poche possibilità di accedere all’edilizia popolare, vessati di continuo da sgombri forzati; persiste ancora il mancato riconoscimento del reato di tortura (sebbene passato alla Camera ma non adottato in Senato); restano ancora irrisolte le responsabilità per la morte di Cucchi, Riccardo Magherini; la collusione Sismi/Cia per il caso di Abu Omar l’Italia resta ancora dai Princìpi di Parigi (che fondano i criteri per la formazione a livello nazionale di istituzioni per la salvaguardia dei diritti umani).

Vincenzo Perfetti

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