“La morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi”
La figura dell’intellettuale, quello all’italiana, purtroppo, porta con sé vizi, saccenteria, lo svilupparsi continuo di una gerarchia verticale, del guardare dall’alto in basso con distacco. Si è persa la figura dell’engagèe, dell’intellettuale impegnato, di un portavoce. Di chi doveva, dopo attente analisi, farsi carico di un paese reale, essere un punto di riferimento. E forse lui ne aveva colto il senso “La morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi”. La “non-comprensione” che oggi è all’ordine del giorno. E da una parte e dall’altra. Forse lui è stato il vero e ultimo che abbia saputo incarnare una figura del genere (se si vuole questa resta anche una pecca poiché oramai molti assurgono ad un ruolo del genere, o meglio credono). Tanto vicino al popolo, al “paese reale”, che sapeva e poteva criticarlo che elogiarlo.
Ed è giusto ricordare un giorno come questo: 5 marzo 1922, Bologna. Giorno in cui nacque Pier Paolo Pasolini. Poeta, romanziere, linguista, drammaturgo, saggista, cineasta. Uno tra i più versatili. Indagava e parlava di tutto, dalla vita dei sobborghi romani, passando per il tema scabroso della prostituzione omosessuale maschile (parte della critica, tra cui Asor Rosa, non accetterà il romanzo) de i “Ragazzi di vita” fino ad una religiosità dell’uomo de “Il Vangelo secondo Matteo” (1964). La letteratura che diventa cinema nel senso più ampio e vero con il “Decameron” e con la sua ultima opera cinematografica tra il letterario (ispirato all’opera di De Sade) e il vero (la Repubblica di Salò) e “Salò o le 120 giornate di Sodoma” (1975). Pasolini, era uomo che sapeva vivere anche di semplicità, vita reale, magari con una partita di calcio tra amici. E il suo amore per lo sport ne è il più grande esempio: “Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione” un “linguaggio con i suoi poeti e prosatori”. Da calciatore finì poi per dare i severi giudizi dopo i fatti di Valle Giulia (1965) tutto sintetizzato nella bellissima poesia “Il PCI ai giovani”. Non meno importanti le sue attente e lucide “Lettere luterane”:”La vita consiste nell’imperterrito esercizio della ragione. Non certo nei partiti presi, e tanto meno nel partito preso della vita, che è puro qualunquismo”. Pasolini morirà nella notte tra il 1° e il 2 novembre 1975 ucciso in maniera brutale, dopo esser stato prima percosso e poi travolto dalla sua stessa auto. Molti i al riguardo: dall’omicidio di pretese sessuali dello stesso Pasolini nei confronti di un “Ragazzo di vita”, ai “chiacchierati” interventi a cui avrebbero preso parte anche i servizi segreti, protagonisti quasi onnipresenti nell’ultimo quarantennio italiano.
Da napoletani è bene ricordare Pasolini con questa sua dichiarazione:” Io so questo che i napoletani oggi sono una grande tribù che anziché vivere nel deserto o nella savana, come i Tuareg e i Beja, vive nel ventre di una grande città di mare. Questa tribù ha deciso – in quanto tale, senza rispondere delle proprie possibili mutazioni coatte – di estinguersi, rifiutando il nuovo potere, ossia quella che chiamiamo la storia o altrimenti la modernità. È un rifiuto sorto dal cuore della collettività contro cui non c’è niente da fare. Finché i veri napoletani ci saranno, ci saranno, quando non ci saranno più, saranno altri. I napoletani hanno deciso di estinguersi, restando fino all’ultimo napoletani, cioè irripetibili, irriducibili ed incorruttibili”.
Vincenzo Perfetti