Nato ad Aberdeen, nello stato di Washington: fu il leader dei Nirvana, fu trovato cadavere l’8 aprile del 1994
Aberdeen, cittadina statunitense dello Stato di Washington che attualmente conta circa 16mila abitanti, è famosa per aver regalato i suoi natali a Kurt Donald Cobain. Gli anni novanta, dal punto di vista musicale, portano di certo il suo volto (senza dimenticare i suoi coetani/colleghi Eddie Vedder e Chris Cornell). Oggi si parla di Kurt, di questo biondino eterno ragazzo che oggi avrebbe compiuto 48 anni. Cobain è stato i Nirvana, è stato un lato del grunge, è stato cantautore, chitarrista e pittore. Forse quello che salta subito alla mente quando si parla di chitarristi mancini (sebbene ambidestro sceglierà di usare la mano sinistra per essere notato). Ovviamente non dopo il primato detenuto da Hendrix. Cobain prima di giungere a quel suicidio, all’eroina, al suo messaggio preso in prestito da Neil Young “It’s better to burn out than to fade away” (E’ meglio bruciare che spegnersi lentamente) ha avuto una sua vita. Vita che non voleva corroborare con il suo successo.
Il padre è un meccanico, Donald Leland Cobain, la madre si alterna tra la vita da barista e segretaria d’ufficio è Wendy Elizabeth Fradenburg. Kurt mostra fin da subito il suo interesse per il disegno tappezzando le mura della sua cameretta con i suoi personaggi preferiti. Mostra anche la passione per il canto, riuscendo ad imitare quasi alla perfezione, a soli due anni, molti delle canzoni che ascoltava. Poi giunge il turbamento. I genitori divorziano. Kurt si trasforma. Diventa infelice, introverso. Il padre si risposa e questo è un duro colpo. Kurt ha la sua chitarra, regalatagli a soli sette anni da sua zia. La sua Blue Hawaii e l’amplificatore diventeranno compagni di viaggio che lo terranno compagnia. È il 1985 e Kurt rompe del tutto i legami con la madre. Di ritorno a casa, dopo un ultimatum imposto dove gli si chiedeva di trovare lavoro o andarsene, Kurt troverà i suoi averi imballati fuori casa. Si troverà a vivere in auto, seminterrato, fino a trasferirsi ad Olympia. Da questa prima esperienza scriverà “Something in the way” (Nevermind).
In quel periodo consocerà Krist Novoselic e di lì a poco, nel 1987, fonderà i Nirvana. Kurt, però, continuava a vivere nel suo mondo. Quello che tutti conosciamo, non gli bastava. Troppo sensibile, troppo umano. Giunge la depressione, l’abuso di droga. Dopo vari tentativi di suicidio, Cobain tornerà di nascosto dalla moglie Courtney Love e la piccola Frances Bean, prima nel circuito di Seattle e poi nella sua casa natale sul Lago di Washington. Verrà trovato il suo cadavere l’8 aprile 1994 dall’elettricista Gary Smith. Al fianco verrà trovata anche una lettera d’addio intestata “A Budda”, suo amico immaginario d’infanzia. Leggenda metropolitana vuole che non sia stato un suicidio, però leggere la lettera può servire a capire cosa provasse. Ma Kurt lo ricordiamo con quella sua voce graffiante e rabbiosa cantare l’inno di molti giovani dell’epoca “Smeels like teen spirits” in quella palestra che tanto andava in onda ai bei tempi di Mtv. “Pace, amore, empatia. Kurt Cobain.”
Vincenzo Perfetti