Durante i funerali dell’eroico capitano Bruner il quartiere dell’area nord si è sentito un po’ Napoli, pur non avendo Lungomare, cinema e metropolitana

Ieri Secondigliano non ha mai visto così tanti vigili urbani. Pochi uomini e mezzi ha la polizia municipale partenopea, spesso distaccati al centro città, e così nell’hinterland l’organico è ridotto all’osso, molti rioni restano senza controlli. Ma ieri c’erano i funerali di Francesco Bruner, capitano dei “caschi bianchi”, ucciso a sangue freddo dal vicino di casa perché intervenuto a fermare la strage che Giulio Murolo stava compiendo. C’erano sindaco, prefetto, questore, procuratore generale e aggiunto, presidente della Corte d’Appello, i comandanti in capo di carabinieri e guardia di finanza, tutte le autorità. E c’erano i colleghi di Franco, l’hanno accolto con il picchetto d’onore sul sagrato della chiesa, l’hanno accompagnato nell’ultimo viaggio fino a casa scortando il corteo funebre, l’hanno salutato i motociclisti in uniforme facendo suonare le sirene tra l’applauso della folla. Ieri il quartiere dell’area nord si è sentito un po’ Napoli. Secondigliano che non ha lungomare, che non ha la metropolitana, che non ha più un cinema e un teatro, che non è cartolina. Ma Secondigliano che è Napoli.

Non importa il luogo. La tragedia poteva consumarsi nella dirimpettaia Scampia. O anche a Posillipo. Importa quel guscio aperto che è questa periferia. Di preziose tradizioni dimenticate che si è schiuso ad una modernità d’oppressione criminale. I lineamenti comandati dal tempo l’hanno resa terra di clan. Quanto poco sintetizza quest’espressione. Schemi come quelli dei confini geografici. Corso Secondigliano, Quadrivio, via Napoli Capodimonte, via Miano: il tragitto del corteo funebre. Ma anche il limite naturalizzato che separa le “famiglie” della zona. Alle spalle i Licciardi, di fronte i Lo Russo, di lato i Di Lauro, più in là quelli della Vanella Grassi. E allora spunta l’ipotesi che a rispondere al fuoco di Murolo, barricato in casa a fare il cecchino sui passanti, sono stati pure i residenti, avvezzi tutti ad impugnare armi in clima di faide. E allora sorge spontanea la domanda sul perché questi tutti hanno tentato di linciare Murolo appena catturato dai poliziotti, mentre non scendono mai in strada quando la camorra spara e non reagiscono all’ingiustizia di chi ammazza, dimenticando che in alcuni contesti il crimine organizzato protegge e la guerra di camorra è lucida, ha scopi e interessi precisi, la follia umana no, sbava, non ha un senso, destabilizza. E allora ecco le etichette applicabili ad una lunga serie di fatti, “nulla nel suo comportamento lasciava presagire un gesto del genere”, “terra di clan”. Formule che liquidano l’apice di un malessere che evitiamo di guardare in faccia. Per ignoranza, per avvilimento. Per paura.

Eppure nel frattempo Secondigliano oscura si mostra. Con un’ombra migliore di lei. Perché l’ombra è amica del sole. E chi vive nell’ombra, senza far clamore, ha l’onestà e la generosità di Franco. Perché non è vero che le cose perse non t’appartengono più. La memoria di un luogo non si perde a causa del passare del tempo. La memoria si perde quando cominciano a raccontarti favole, invece che la realtà, a sbandierare promesse, invece che riqualificare. Quando il quotidiano si riduce ad un siparietto per spettatori passeggeri, quando il tribunale mediatico fa processi sommari, quando tutto è apparentemente tranquillo. E si sa, l’apparenza inganna. È tutta lì la paura. In quel confine stretto tra auspicata normalità e presunta anormalità. In quelle due palazzine attaccate, muro a muro, quella di Murolo e quella di Bruner, quella del pazzo pluriomicida e quella del vigile eroe. È tutta lì la malattia mentale. In quella schizofrenia carsica che attraversa questa terra di antichi casali, scissa tra buoni e cattivi. Oggi, in fondo, a Secondigliano non c’era nessuno, se non pochi parenti, niente istituzioni e autorità, ai funerali dei coniugi Murolo anche loro barbaramente ammazzati dall’infermiere folle.

Claudia Procentese

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