A Napoli ha debuttato lo spettacolo della regista siciliana

NAPOLI – “Io, nessuno e Polifemo”, che ha debuttato al Bellini, è un lavoro fuori dagli schemi ai quali ci ha abituato Emma Dante. L’autrice, regista e, in questa circostanza, attice siciliana ha mandato in scena l’adattamento del suo testo “Intervista impossibile a Polifemo” pubblicato nella raccolta “Corpo a corpo” edita nel 2008 da Einaudi. E’ un mix di prosa, danza, canto e musica elettronica live su un palcoscenico in allestimento con tubi “Innocenti”. Protagonisti Polifemo (Salvatore D’Onofrio), Odisseo, ovvero Nessuno (Carmine Maringola), tre attrici danzatrici (Vederica Aloisio, Giusi Vicari, Viola Carinci) che, di volta in volta impersonano le divinità del poema omerico, le Sirene e Penelope che tesse la tela di giorno e poi la sfila durante la notte. Portano con sé dei piccoli manichini disarticolati che poi lasceranno al proscenio, pronti a trasformarsi nel macabro pasto di Polifemo. Nella parte alta dell’impalcatura c’e Serena Ganci, cantante dark, che canta e scandisce i sui ritmi suonando la batteria. Dopo circa dieci minuti di spettacolo, entrando dal  corridoio centrale della  platea, Emma Dante sale sul palco nelle vesti di intervistatrice. Indossa  giacca e pantaloni neri, così come Polifemo e Ulisse; stile “le iene”, per dare risalto alla modernità della rappresentazione. L’autrice entra nell’antro del ciclope e, vincendo le sue resistente, lo interroga sul suo  tragico incontro con Ulisse. “Comme ’e creature vi facite cullà da rapsodie popolari, credendo ai mostri e agli eroi. Signò, io song sempre stato un essere pacifico, monòcolo, sì, ma armonioso, e le pecore, i montoni, i capretti non s’hanno mai appauràto ’i me”.  Così l’orbo Polifemo racconta  la sua verità su quei fatti che invece la tradizione consolidatasi nel tempo ci ha riportato in maniera diversa. E’ l’incipit del messaggio dai molteplici contenuti che Emma Dante intende dare e che si forma  amano a mano che l’intervista va avanti, coinvolgendo anche Odisseo. Ne abbiamo colti fondamentalmente tre. La storia trasforma, modifica e altera nel tempo la verità. Non esiste, quindi, una storia, ma più storie su un identico fatto che finiscono, come nel caso di Polifemo, di trasformarsi in mito accettato da tutti. Una falsità che ha fatto diventare il gigante un monumento di pietra e come tale non più modificabile. Non bisogna, quindi, fermarsi davanti alle apparenze e non dare mai nulla per scontato. Il ciclope non è il carnefice, ma la vittima di un Ulisse donnaiolo anche se si proclama fedele alla moglie, camminata un pò guappesca falso, bugiardo, ingannatore (è emblematico il richiamo al cavallo di Troia) espressione di una cultura quanto mai attuale orientata all’imbroglio piuttosto che all’onestà,. Entrambi parlano il napoletano, sicuramente per ribadire che l’autrice ama il dialetto, e lo mette al centro del suo teatro. Ma perchè il napoletano e non il siculo? Forse per rendere omaggio alla napoletanità, visto che Polifemo afferma di essere nato e vissuto ai Campi Flegrei e non ad Aci Trezza e che chiede all’intervistatrice di restituirgli il suo dialetto quando per qualche minuto si trova “misteriosamente” e incolpevole a parlare in siculo. Quando, però, la domanda va rivolta a Ulisse la risposta è diversa perchè la Dante sembra scivolare banalmente sull’abusato stereotipo del napoletano truffaldino e imbroglione.  Non è escluso, poi, che l’autrice, mescolando i due dialetti, abbia voluto ridare dignità a due popoli che un tempo erano cittadini di uno stesso Stato sovrano. Emerge, infine, la volontà di richiamare l’attenzione sul fatto che il teatro deve essere capace di scuotersi dall’immobilismo e rielaborare, anche rinnovandole, con originalità e capacità inventiva storie conosciute e già raccontate. Meritati i prolungati applausi del pubblico. Per quanto riguarda, in particolare l’autrice, il plauso non va tanto alla sua interpretazione perchè il ruolo che si è ritagliato in scena come attrice è volutamente modesto, ma per il coraggio di essere andata oltre gli schemi precostituiti e convenzionali e per avere dato grande risalto al linguaggio della fisicità. La produzione è del Teatro Biondo Stabile di Palermo.

Mimmo Sica

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