Intervista a Egidio Giordano: “Partenope Ribelle per rilanciare diritti, solidarietà e partecipazione”
Il prossimo 6 Ottobre una vasta rete di associazioni, comitati, coordinamenti di lotta ha promosso un’assemblea per aprire una discussione vera sul governo della Città, le prospettive, mettere in discussione i vincoli imposti dal governo nazionale e dagli organismi internazionali e costruire la confederazione dei soggetti per l’alternativa al modello di società dominante. Una grande assemblea organizzata a Napoli, capitale del Sud. Appunto, l’assemblea di Partenope Ribelle.  Il Desk ha intervistato Egidio Giordano, uno dei promotori della significativa iniziativa.
Quali sono gli obiettivi immediati dell’assemblea, sarà lanciato un programma unitario in grado di unificare tutte le realtà sociali e le lotte presenti in Città, nella Regione  con prospettive a livello nazionale?
L’assemblea del sei ottobre nasce da una serie di esigenze. Innanzitutto quella di aprire uno spazio comune di riflessione a partire dalla confederazione dei soggetti organizzati e di singoli che hanno a cuore la costruzione di una città giusta, accogliente, solidale, antirazzista. Con questo spirito abbiamo immediatamente pensato di invitare un deputato di una delle forze politiche del panorama internazionale  a cui  guardiamo con maggiore interesse, che è l’HDP, il partito filo-curdo, composto da molte aree della sinistra radicale e di movimento, che in Turchia si oppone strenuamente alla dittatura di Erdogan. Durante lo scorso anno ci siamo resi conto che non basta tenere un confronto costante tra singole realtà più affini  per costruire sinergie, relazioni che guardino ad una comune prospettiva, per la trasformazione radicale di Napoli. C’è bisogno di un salto di qualità organizzativo che in questo momento non riesce a fare nessuna forza politica presente in città. Un salto che permetta a tutti, realtà organizzate e singoli attivisti  appunto, di dare il proprio contribuito alla costruzione di proposte concrete, campagne, iniziative, luoghi di discussione per e sulla la città. Questo è Partenope ribelle. 
Perchè i centri sociali  sono scarsamente radicati con il territorio e non coinvolgono i ceti popolari su temi importantissimi come il lavoro, la solidarietà,  la povertà, la funzionalità dei servizi, l’istruzione pubblica, il diritto alla salute?
Beh tutto è migliorabile per carità, ma non credo si possa parlare di scarso radicamento sui territori o di un complessivo disinteresse nei confronti delle tematiche elencate da parte dei centri sociali. Per capirlo basta guardare chi sono i promotori dell’assemblea. Tra loro, oltre al centro sociale Insurgencia, c’è il comitato vele di Scampia, i lavoratori e le lavoratrici delle partecipate, il coordinamento di lotta per il lavoro, i comitati contro la devastazione ambientale di buona parte della provincia di Napoli e di Caserta, nonché Freebacoli, il movimento cittadino legato all’esperienza di Josi della Ragione, e tantissime altre piccole esperienze territoriali concentrate su campagne e vertenze finalizzate al riscatto delle fasce subalterne e alla giustizia ambientale e sociale. Quella del 6 Ottobre sarà di certo una discussione che parte da Napoli che immediatamente, su una serie di questioni cardine, rilancia sulla provincia e su tutto il territorio regionale. 
In ogni caso è comunque cosa giusta interrogarsi oggi sulle nuove forme di militanza e di attivismo,sottolineare dove ci sono dei deficit, non dando per scontato nulla e provando sempre ad allargare la rete degli interventi così come le soggettività coinvolte. 
Anche questo sarà uno dei temi centrali dell’assemblea del 6 Ottobre. 
L’assemblea del 6 Ottobre prossimo rivendicherà maggiore autonomia dalle istituzioni e dai governi “amici”?
Io direi, piuttosto, che l’assemblea del 6 proverà a capire come ottenere maggiore autonomia istituzionale rispetto ai governi. Mi spiego meglio: ad oggi le istituzioni di prossimità, gli enti locali, rappresentano i terminali di una catena di comando che inizia molto più in alto, in scala transnazionale. Basta osservare la situazione economico-finanziaria del comune di Napoli, un collasso sostanzialmente dovuto al gravare sulle nostre spalle di un debito che non dobbiamo avere paura a definire illegittimo e che finiscono per pagare i ccittadini Questo ovviamente non vuol dire accettare in modo ineluttabile l’immobilismo: anche in una stagione di crisi un’amministrazione che si propone come soggetto di rottura, in discontinuità con la passività dei governi a trazione partitica, deve trovare strategie di gestione della vita quotidiana della città che siano sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale. Penso al disastro dei trasporti, al lavoro per costruire un modello virtuoso di gestione rifiuti che è ancora tutto da fare. È evidente però che il problema non riguarda solo Napoli. Nel nostro paese sono di più di cento amministrazioni a rischio dissesto. In questo senso quando abbiamo scelto, insieme a tanti, di provare a cogliere la sfida istituzionale eprimendo alcune candidature, l’idea era proprio che le istituzioni territoriali fossero un terreno di lotta politica. Ad oggi – e finché il pareggio di bilancio e la politica dei tagli lineari saranno il solo mantra politico –  nessuna amministrazione, per quanto illuminata, può resistere ai colpi che vengono dai revisori di spesa, dal ricatto del debito e da tutte le misure di macelleria sociale che oggi ci hanno insegnato a chiamare “spending review”. Dietro al lessico tecnocratico, poi, si nascondono scelte politiche che hanno un segno ben preciso: non è un caso che i fondi per finanziare grandi opere inutili come il TAV sono sempre lì, mentre i soldi per bonificare e mettere in sicurezza la nostra regione, anche dopo lo scempio dei roghi e degli incendi sul Vesuvio di questa estate, vengono sistematicamente negati. Declinerei quindi il tema dell’autonomia in questo senso: autonomia delle istituzioni dal basso – sia quelle formali che quelle informali, penso ai comitati, alle realtà di base, alle assemblee popolari – contro la dittatura finanziaria. Penso che l’assemblea del 6 dovrà parlare di queste cose e capire come l’autonomia economica e politica della città di Napoli, in un’ottica confederale, può diventare oggetto di una campagna politica seria, all’altezza della sfida che abbiamo davanti, anche perchè siamo convinti (e questa è un’altra delle spinte che hanno motivato la costruzione dell’assemblea) che la stessa amministrazione in carica incontri oggi molte difficoltà ad esprimere lo spirito disobbediente e la carica innovativa che aveva mosso gli ultimi anni del precedente mandato. Da questa difficoltà vogliamo partire per lanciare alcune sfide concrete che ci riportino su quel terreno sperimentale che ha motivato anche la nostra scelta di interiorità al progetto. Sperimentazioni che già stanno trovando casa nell’esperienza di governo che il nostro compagno Ivo Poggiani sta portando avanti nella 3a municipalità.
Per questo lo scopo dell’assemblea deve essere anche e soprattutto quello di prendere parola su molte questioni che riguardano la vita degli abitanti  della nostra città e fare in modo che questa presa di parola si trasformi immediatamente in proposta, autonoma, sulla quale fare battaglia politica. 
E’ possibile organizzare a Napoli, nel Mezzogiorno e nel Paese, un grande movimento in grado di costruire una seria alternativa all’attuale modello di sviluppo?
Questa è una domanda davvero complicata e la cui risposta necessiterebbe di ben altro spazio. Proverò ad essere sintetico ma a dire alcune cose. Innanzitutto credo che nel giro di pochissimo tempo questo paese stia precipitando in una involuzione ed un imbarbarimento culturale e politico con cui chi vuole costruire un’alternativa radicale non può non  fare i conti. 
Valori, conquiste, che ci parevano intoccabili stanno scomparendo senza che nessuno dica una parola.
Dinanzi a tutto questo sfacelo, di certo ci sarebbe bisogno di un lavoro di connessione tra le realtà di base prima meridionali e poi magari dell’intero paese che guardano alla costruzione di un’alternativa politica radicale. Per farlo però credo che bisogna muoversi in punta di piedi e rispettare le autonomie, le specificità e i singoli percorsi. Credo in questo senso che non sia  ancora il tempo di un soggetto unico che si propone sui territori nella forma della mera adesione, ma è invece sicuramente il tempo in cui, al di là delle scadenze elettorali in cui la partitocrazia tradizionale pensa solo a confermare le proprie rendite di posizione, costruire grandi agorà tra esperienze cittadine, di movimento, di civismo, di attivismo di base, che si riconoscono attorno a poche parole chiare: solidarietà, diritti, accoglienza, diritto alla decisione.
È un lavoro lento e difficile, che potrebbe non portare da nessuna parte ma l’unico che secondo me vale la pena fare.
Anche da questo punto di vista l’assemblea del 6 Ottobre non è nient’altro che un pezzo di lavoro che guarda appunto alla confederazione con altri, ma sempre nello spazio pubblico delle assemblee, dei confronti orizzontali. Di una cosa siamo certi, e con questo spirito abbiamo lanciato l’assemblea, il paese non si cambia sedendosi ai tavoli degli accordi, e men che mai si ricostruisce la sinistra provando a portare a casa qualche poltrona. Serve rimettersi in viaggio, conoscere le infinite realtà mobilitate contro le ingiustizie, inchiestare i territori, unirsi concretamente alle infinite battaglie di cui questo paese per fortuna e’ ancora pieno.
                                                                                                       Ciro Crescentini
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