De Luca sul decreto ‘liste d’attesa sanitarie’: “una grande palla propagandistica ed elettorale del governo Meloni”

La Uil pensionati: “Il governo continua a non voler vedere le reali ragioni che hanno portato alla deriva del Servizio Sanitario Nazionale: il definanziamento del Fondo sanitario nazionale, la carenza di personale e l’assenza di una vera medicina territoriale”

A quattro giorni dalle elezioni europee, il governo di Giorgia Meloni ha approvato due decreti legge propagandando l’istituzione di una piattaforma nazionale per l’abbattimento delle liste d’attesa e garantire i tempi delle prestazioni sanitarie e l’abolizione del tetto di spesa

La piattaforma nazionale per le liste di attesa sarà istituita presso Agenas ed “è finalizzata a realizzare un interoperabilità con le piattaforme di liste di attesa per ogni regione”: si tratta di “un provvedimento fondamentale perchè fino adesso in realtà non esiste un vero monitoraggio di quelli che sono i tempi delle liste di attesa per prestazione per regione, quindi se si vuole realmente intervenire bisogna avere i dati e conoscere quella che è la situazione regione per regione e prestazione per prestazione”.

Prevista anche “l’implementazione del sistema di prenotazione delle prestazioni sanitarie quindi l’afferenza a un Cup regionale o interregionale non solo di tutti quelli che sono gli erogatori pubblici, ma anche degli erogatori privati accreditati ospedalieri ed ambulatoriali: fino adesso solo in qualche regione spot era presente un simile sistema di prenotazione delle agende. Il privato convenzionato dovrà mettere a disposizione in maniera trasparente tutte le prestazioni ai cittadini: mettendo insieme le prestazioni offerte dal privato convenzionato, ma soprattutto dal sistema sanitario pubblico, già solo con questo avremo una riduzione dei tempi delle liste di attesa”, ha sottolineato il ministro Schillaci. Inoltre “faremo in modo che ci siano visite diagnostiche e specialistiche anche nei giorni di sabato e domenica” e “si amplia la fascia oraria per l’erogazione di queste prestazioni”.


Per il ministro “è ovvio che un qualunque provvedimento come questo non può non essere fatto tenendo conto che necessita il reclutamento di altri professionisti sanitari: nell’anno in corso, il tetto di spesa verrà incrementato e portato, per le regioni che ne faranno richiesta, dal 10 al 15% mentre invece da partire dal 1° gennaio 2025 abrogheremo il tetto di spesa” per il personale sanitario.

Per gli operatori sanitari che svolgeranno un orario aggiuntivo straordinario per abbattere le liste di attesa “è prevista una tassazione del 15% sull’orario aggiuntivo e sulle prestazioni finalizzate all’abbattimento delle liste d’attesa, indipendentemente dal reddito percepito dal singolo operatore sanitario”, mentre, sempre per combattere il fenomeno delle liste d’attesa e “per contrastare il fenomeno dei cosiddetti ‘gettonistì che abbiamo combattuto sin dal primo giorno di governo, le regioni e il personale del comparto dirigenza medica e sanitaria potranno anche reclutare personale con forme di lavoro autonomo”.


Il provvedimento poi “dà mandato al direttore generale dell’Azienda Ospedaliera presso la quale è stata richiesta la prestazione di far sì che i tempi vengano rispettati, ricorrendo o all’intramoenia o al privato convenzionato. Tutti i dati possibili sulle liste di attesa vanno controllati e monitorati”, in questo modo “capiremo anche quante sono in realtà le prestazioni urgenti che prima non erano erogate e per le quali il cittadino si rivolgeva al privato”, ha ricordato il ministro. “E’ una questione di risorse ma, come abbiamo sempre detto, anche di organizzazione: se ognuno farà la sua parte, riusciremo a riorganizzare la sanità” e “avremo un servizio sanitario migliore: lo dobbiamo ai cittadini”.

Immediate le reazioni al decreto del governo – Il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca non usa giri di parole. “Una grande palla propagandistica ed elettorale: non dicono con quali soldi e con quale personale far lavorare gli ospedali nei fine settimana e nelle feste comandate. Serve una riforma complessiva, non provvedimenti elettorali che offendono i cittadini e non risolvono i problemi” – afferma il governatore a margine di una visita all’ospedale di Ariano Irpino (Avellino). 

E sul provvedimento governativo interviene anche il sindacato.Il decreto per abbattere le liste di attesa, approvato in Consiglio dei ministri, ha le sembianze di una norma dal tipico sapore elettorale. Il governo continua a non voler vedere le reali ragioni che hanno portato alla deriva del Servizio Sanitario Nazionale: il definanziamento del Fondo sanitario nazionale, la carenza di personale e l’assenza di una vera medicina territoriale”.
Lo affermano in una nota congiunta il segretario confederale della Uil Santo Biondo, il segretario generale della Uil pensionati Carmelo Barbagallo e la segretaria generale della Uil-Fpl Rita Longobardi.


Ciò che salta all’occhio è che si tratta di provvedimenti già previsti a legislazione vigente: le classi di priorità sono quelle definite dal Piano nazionale delle liste di attesa (Pngla 2019-2021) e ci sono anche indicazioni contenute nella legge di Bilancio per il 2024, sulle quali avevamo espresso tutto il nostro dissenso. Non è pensabile – proseguono – che, per abbattere le liste di attesa, si carichi ulteriormente di lavoro il personale del Ssn, sotto organico e stremato da turni di lavoro massacrante. Così come non è accettabile che ci si rivolga ai privati, proponendo di unificare nei Cup le prestazioni e alzando il volume del business drenato dal pubblico, rendendo il Ssn primo cliente del mercato privato, i cui datori di lavoro non stanno rinnovando i contratti scaduti da tempo”.


Dunque, “in attesa di leggere nel dettaglio il piano, riteniamo che il problema principale sia la mancata indicazione delle coperture finanziarie, in quanto i 300 milioni di euro ventilati rappresentano soltanto una goccia nell’oceano. E come abbiamo sempre affermato, le riforme a costo zero non hanno mai dato i frutti sperati. A nostro avviso, non è questa la strada giusta per arrivare a una maggiore equità e giustizia sociale e per dare risposte concrete agli oltre 4,5 milioni di persone (in aumento del 7% rispetto all’anno precedente, 372 mila persone in più), che nell’ultimo anno hanno dovuto rinunciare a visite o accertamenti per problemi economici”, concludono

CiCre

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