Omicidio Cimminiello, ergastolo a boss Abete e suo braccio destro

Abete e Raffaele Aprea giudicati colpevoli in primo grado per l’assassinio del tatuatore 32enne, vittima innocente di camorra, davanti al suo negozio di Casavatore nel 2010. Denuncia della sorella della vittima: “La camorra si combatte qui, non nei convegni, ma oggi siamo 4 gatti”

Vincenzo Russo detto ‘o luongo, l’esecutore materiale, aveva preso l’ergastolo definitivo un mese fa. Oggi la stessa pena, in primo grado, è toccata al boss scissionista Arcangelo Abete ed al suo braccio destro Raffaele Aprea, ritenuti rispettivamente mandante ed organizzatore dell’omicidio di Gianluca Cimminiello, vittima innocente di camorra (nella foto). Entrambi sono stati riconosciuti colpevoli di omicidio aggravato dalle finalità dalla Corte di Assise del Tribunale di Napoli. Cimminiello fu ucciso nel 2010 davanti l’uscio del suo negozio di Casavatore.  Il 32enne tatuatore aveva pubblicato su Facebook una foto con il calciatore Ezequiel Lavezzi, scatenando la gelosia di un concorrente che si era rivolto al clan per dargli una lezione. Solo che Gianluca, esperto di arti marziali, quella sera nel suo studio fu lui a picchiare i suoi aggressori. Secondo la ricostruzione processuale, avvalorata dai pentiti, Abete era a Milano agli arresti domiciliari e decise che Cimminiello doveva morire perché aveva osato reagire.  E poi l’omicidio doveva essere un piacere agli alleati degli Amato-Pagano. Così contattò Aprea che a sua volta chiamò il killer Russo. Al momento della sentenza, commozione in aula dei familiari della vittima. Ma in precedenza, la coraggiosa sorella Susy Cimminiello aveva denunciato il clima pesante in udienza, con una diretta Facebook all’esterno del palazzo di giustizia. La giovane, da anni impegnata per la legalità, aveva chiesto sostegno alla sua battaglia. “La criminalità non si combatte ai tavoli, ai convegni, ma qui, nei Tribunali – le sue parole  -. Ma qui oggi siamo quattro gatti…la camorra uccide chi è solo. Avevo lanciato un appello, avevo detto che in passato eravamo stati costretti a uscire dal retro e non dall’ingresso principale, agli occhi dei familiari degli imputati siamo noi i nemici”. “Mi aspettavo qualcosa in più, perché questa guerra  – aveva detto – la vinciamo se la facciamo insieme. “Uscendo dall’aula ho dovuto subire occhiatacce. Io quegli sguardi non li capisco, io sono abituata a guardare la gente negli occhi. Se sono contrariati da questa situazione hanno avuto anni di tempo per andare a dire quelle che sapevano ai magistrati”.

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