Camorra, il vivaio baby gang e la metamorfosi gangster

La relazione della Dia sul primo semestre 2018: i giovani “linfa vitale” dei clan e protagonisti di “ingiustificata ferocia”. I quartieri degradati la molla per arruolarsi nel crimine organizzato. Donne sempre più spesso ai vertici delle cosche, decapitate da inchieste e pentimenti. Le mappe delle province campane: i Casalesi non sono affatto sconfitti

Una camorra sempre più giovane e col volto da gangster, lontana dal modello della cupola mafiosa. E dove le baby gang sono una riserva inesauribile dei clan. La presenza femminile, inoltre, si consolida ai vertici delle cosche. Il quadro emerge dalla relazione semestrale della Dia, relativa al primo semestre 2018.

 

CAMORRA SENZA CUPOLA. La camorra conferma “il peculiare assetto organizzativo privo di un organismo sovraordinato all’intero sistema criminale, composto, invece, da una galassia di clan dal potere consolidato e da un sottobosco di gruppi, spesso tra loro in conflitto”. Niente di nuovo: lo scenario rimane frammentato, o magari “liquido”, come preferisce la sociologia criminale. Restano rilevanti i colpi assestati dalle indagini. Un’azione coordinata di arresti, sequestri dei patrimoni illeciti e crescita esponenziale di collaboratori di giustizia. “Si è assistito, in generale – si legge nella relazione -, alla scomparsa dei capi carismatici, alcuni detenuti e altri costretti da tempo alla latitanza, il cui ruolo è stato assunto da familiari o elementi di secondo piano, che non sempre hanno mostrato pari capacità nella guida dei sodalizi”. E di fronte “ai rapidi mutamenti dei contesti locali”, giovani delinquenti “hanno spesso fatto ricorso ad azioni violente, come riscontrato per la famiglia Giuliano di Forcella”. In altre zone, “pregiudicati poco più che adolescenti si sono posti a capo di gruppi emergenti, tentando, anche in questo caso, di assumere il predominio nel controllo del territorio e degli affari illeciti”. L’assenza di una solidità gestionale
“è degenerata in lotte intestine, che hanno inciso sulla stabilità di un gran numero di organizzazioni camorristiche, in particolare del napoletano, quali, ad esempio, i gruppi Amato-Pagano e Lo Russo”.

 

Numerosi “sono stati i provvedimenti cautelari che hanno riguardato quest’ultimo gruppo, per anni indirettamente coinvolto, attraverso l’appoggio militare a sodalizi alleati, in diverse faide del capoluogo”. E tuttavia “altri gruppi hanno dimostrato, nel corso degli anni, una notevole capacità di riorganizzazione, nonostante le sentenze di condanna emesse nei confronti dei vertici e i contrasti con clan avversi”. Uno di questi è il clan Mazzarella di San Giovanni a Teduccio di Napoli, operativo anche in altre zone della città. “A seguito della scarcerazione dei figli di uno degli storici capi clan – avverte la Dia-, il gruppo starebbe riacquisendo il controllo delle attività illecite della c.d. zona della Maddalena, approfittando anche dei numerosi interventi giudiziari che hanno colpito capi e gregari del sodalizio avverso dei Sibillo-Nuovi Giugliano (“la paranza dei bimbi”, ndr). Viceversa, “nelle zone del vesuviano, del nolano e del casertano i clan hanno adottato, nella gestione delle attività illecite, una modalità di mimetizzazione e di compartimentazione”. Tale strategia “consente di assorbire gli eventuali contraccolpi derivanti dall’esecuzione di provvedimenti cautelari, come riscontrato per il cartello casertano dei Casalesi ed il clan Polverino di Marano di Napoli”. Quest’ultimo gruppo “ha evidenziato anche la capacità di offrire un supporto logistico fuori area agli elementi di vertice, che durante la latitanza sono stati assistiti, negli spostamenti, fino al viterbese, alla provincia di Roma ed anche in Spagna”. In sintesi: accanto “ad uno scenario criminale della città partenopea caratterizzato da una spiccata frammentazione e con un numero indefinito di gruppi criminali instabili, in provincia e nel casertano permangono le storiche consorterie camorristiche, ben insediate nel tessuto sociale e radicate sul territorio”.

 

LE STESE. Un passo della relazione tocca il fenomeno delle stese. “A Napoli – spiega gli analisti Dia-, la pluralità di gruppi autonomi, più simili a bande gangsteristiche e sempre caratterizzati dall’impiego di metodologie di tipo mafioso e da un uso spregiudicato della violenza, genera un palpabile clima di fibrillazione. I numerosi episodi intimidatori, come l’esplosione di colpi d’arma da fuoco contro abitazioni, auto o attività commerciali riconducibili a clan rivali, offrono un quadro d’insieme dove covano molteplici focolai di tensione, particolarmente evidenti nelle aree di Forcella, Quartieri Spagnoli, Sanità, Piazza Mercato, Vasto, Case Nuove, San Giovanni a Teduccio, Ponticelli, aree in cui oltre all’esistenza di faide, sono frequenti le c.d. stese”.

 

IL NOCCIOLO DURO DEI CLAN. La relazione rileva: “Un diverso tessuto criminale è presente nei territori delle province napoletane e casertane in cui le locali organizzazioni, benché fortemente colpite da provvedimenti cautelari personali e patrimoniali e da pesanti sentenze di condanna, mantengono salda la capacità di consenso e legittimazione su gran parte della collettività, grazie ad un’immutata forza di intimidazione ed assoggettamento”. La forza attrattiva “di reclutamento dei nuovi affiliati risiede nella capacità dei gruppi di retribuire le attività illecite prestate, ma anche nella garanzia di offrire una vera e propria assistenza legale agli indagati, assicurando il mantenimento dei familiari in caso di detenzione”.

 

BABY BOSS E BABY GANG. La vera forza della camorra sembra il ricambio generazionale, mai in calo, nonostante i cambiamenti. Si abbassa “sensibilmente” l’età di iniziazione mafiosa. E le organizzazioni criminali, “nonostante la forte azione repressiva dello Stato, continuano ad attrarre le giovani generazioni”, autentica “linfa delle mafie, siano espressione diretta delle famiglie o semplice bacino di reclutamento da cui attingere manovalanza criminale”.  E soprattutto nell’hinterland napoletano, “le giovani leve non sempre risultano espressione delle storiche organizzazioni” ed “appaiono, piuttosto, come micro-formazioni in cerca di spazio per tentare la scalata al potere criminale, che si affiancano ai giovani delinquenti, terza generazione delle famiglie più rappresentative dei quartieri del centro storico e dell’area nord”. Il denominatore è “la spregiudicatezza criminale che porta a continue scorribande e sparatorie incontrollate”. Ma non basta. “Particolare attenzione – precisa la relazione – merita il rapido diffondersi di episodi riprovevoli e violenti commessi dalle baby gang, espressione di una vera e propria deriva socio-criminale”. Le loro azioni, “spesso connotate da un’ingiustificata ferocia”, sfociano  “in episodi di bullismo metropolitano e atti vandalici, consumati anche in danno di istituti scolastici ed edifici pubblici”. In genere si tratta di gruppi composti da ragazzi a rischio devianza per problematiche familiari, o cresciuti in contesti di degrado sociale.  Fattori determinanti nel percorso di arruolamento nelle fila delle consorterie criminali. I minori, infatti, rappresentano un ”esercito” di riserva per la camorra, da impiegare nello spaccio di droga.  Nelle zone “ad elevato tasso di disgregazione del tessuto sociale, i punti di forza dei clan emergenti risiedono nella capacità di reclutamento di nuovi affiliati – grazie anche all’interazione con la criminalità diffusa – e nella disponibilità di armi e munizioni”. La storia è nota: “Le caratteristiche sociali, culturali ed economiche dei quartieri degradati o periferici di Napoli agevolano l’arruolamento di giovani leve, molte delle quali minorenni, attingendo dal vivaio delle bande della microcriminalità”.

 

DONNE AL VERTICE. La famiglia resta elemento chiave nella struttura camorristica, e le donne sono in ascesa. “La presenza di parenti all’interno della gerarchia di comando – afferma il documento – conferma la centralità della famiglia, quale strumento di coesione”. Non di rado “le alleanze sono state rafforzate da matrimoni tra giovani di gruppi diversi, con le donne che assumono, sempre più spesso, ruoli di rilievo nella gerarchia dei clan, soprattutto in assenza dei mariti o dei figli detenuti”.

 

SALERNO IMITA NAPOLI.  Dopo Napoli città, il fenomeno baby boss inizia a diffondersi a nell’area salernitana. Infatti le “condotte criminali di giovani pregiudicati, desiderosi di accreditarsi nel panorama delinquenziale” sono “una tendenza che si percepisce anche a Salerno”. A Salerno “si è constatata una recrudescenza criminale riconducibile alla spregiudicatezza di giovani, che nel tentativo di emulare le ‘carriere’ dei capi storici della malavita cittadina, in massima parte detenuti o, addirittura, deceduti, tentano di affermare il controllo in varie zone della città”. Lo stesso accade in provincia. “L’azione di contrasto svolta, nel tempo, dall’Autorità Giudiziaria e dalle Forze di polizia della provincia – dice la relazione – ha disarticolato le storiche organizzazioni camorristiche, determinando ‘vuoti di potere’ e la rapida ascesa di piccoli gruppi criminali, composti da giovani spregiudicati protesi essenzialmente a ritagliarsi spazio sul territorio per la gestione degli affari illeciti, anche mediante la commissione di delitti che hanno destabilizzato l’ordine e della sicurezza pubblica”. Per il resto,  La Dia ribadisce che “La provincia di Salerno presenta una situazione generale riferita alla criminalità organizzata particolarmente disomogenea, con aspetti e peculiarità che variano secondo il contesto territoriale”. Allerta nel capoluogo, dove gruppi emergenti puntano a erodere l’egemonia del clan D’Agostino. Si tratta di bande “che, nel tentativo di occupare gli spazi lasciati liberi dall’arresto di esponenti del citato sodalizio, ricorrono spesso anche ad azioni cruente”.

 

I CASALESI NON SONO SCONFITTI. In provincia di Caserta, lo Stato ha inflitto batoste epocali alla camorra. Ma si cadrebbe in errore, a considerare sconfitti i clan. “L’attuale panorama criminale casertano – scrive la Dia – è tuttora contraddistinto dalla forte presenza sul territorio del cartello dei Casalesi e dei sodalizi dell’area marcianisana che, nonostante i costanti ed incisivi colpi subiti dall’azione di contrasto delle Forze dell’ordine e dell’Autorità giudiziaria, mantengono il controllo del territorio attraverso una coesione interna fondata su solidi vincoli familiari e consenso nel tessuto sociale che permette di cooptare nuovi arruolamenti”. E pure “l’assenza di episodi omicidiari è ormai un elemento distintivo che perdura trattandosi di una precisa scelta strategica di mimetizzazione”. Sul territorio non arretra “una capillare e proficua attività estorsiva, esercitata in maniera egemonica sulla quasi totalità della provincia di Caserta”. E si riscontra l’avanzata “nel settore delle forniture di servizi per enti e strutture pubbliche, mutuando il collaudato sistema intimidatorio del vincolo associativo e dell’appartenenza al clan per assicurarsi il totale controllo delle prestazioni”. Nel dettaglio, la fazione Schiavone “dopo l’arresto dei suoi vertici, è guidata da personaggi che, pur non essendo ad essa legati da stretti vincoli di sangue, hanno saputo dimostrare autorevolezza e capacità di controllare il territorio”. Il clan Zagaria conferma la “sua spiccata vocazione imprenditoriale capace di amministrare ed investire risorse e di mantenere saldi i rapporti con le pubbliche amministrazioni, non solo locali ma anche di livello superiore”. Il clan Iovine mostra, anche “in ragione della scelta collaborativa del suo vertice (Antonio Iovine, ndr), una ridotta operatività rispetto ai clan Zagaria e Schiavone”. E nel clan Bidognetti emerge “una componente interna denominata ‘Nuova Gerarchia Casalese’, nata col placet dello storico capoclan ed attiva in diversi comuni del casertano e del basso Lazio”.

 

IRPINIA, EQUILIBRI IMMUTATI. Sono immutati gli equilibri criminali in Irpinia. Nel capoluogo opera il clan Genovese, con proiezioni anche su territori adiacenti. Nessuno scossone anche nelle aree di maggiore pressione delinquenziale: Vallo di Lauro, Baianese, Valle Caudina, comprensorio Montorese-Solofrano, Alta Irpinia e Arianese. “A Quindici e in altri comuni del Vallo di Lauro – rammenta la Dia – opera la famiglia CAVA e l’antagonista clan Graziano”. Nella Valle Caudina regna il clan Pagnozzi, ramificato nelle province di Benevento, tramite sodalizi satellite, e Caserta, attraverso storici rapporti con Casalesi e marcianisani. “Il clan Pagnozzi – avverte la relazione – è operativo anche a Roma, dove è radicato da anni con un ruolo di primo piano in diverse zone del quadrante sud della Capitale”. Il traffico di stupefacenti e le estorsioni sono le attività criminali prevalenti delle cosche irpine. E tuttavia, “negli anni hanno dimostrato di saper intessere rapporti, di reciproco interesse, anche con le pubbliche amministrazioni locali”.

 

SANNIO, CAMORRA E RAPINE. Anche in provincia di Benevento “non si sono registrati mutamenti di rilievo negli assetti delle organizzazioni criminali di stampo camorristico presenti”. Il territorio appare, comunque, “esposto a reati di criminalità comune, in particolare quelli contro il patrimonio, con un’incidenza maggiore delle rapine in danno degli esercizi commerciali ubicati nelle aree confinanti con la provincia di Caserta”. Restano operativi i clan Sparandeo, Pagnozzi, Nizza (vicino agli Sparandeo. I Saturnino-Bisesto (vicini agli Sparandeo ed ai Pagnozzi) sono attivi nella valle Caudina, gli Iadanza-Panella nella zona di Montesarchio e Bonea, mentre gli Esposito in Valle Telesina. “A fattor comune – chiariscono gli analisti-, le menzionate organizzazioni avrebbero, quale primaria fonte di guadagno, i traffici di stupefacenti”.

Gianmaria Roberti

 


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