Articoli su Napoli Sociale, niente risarcimento: c’è interesse pubblico ad informazione

Il giudice di Nola respinge le richieste della partecipata comunale in liquidazione per una serie di articoli del 2010, sui presunti scandali assunzioni e parentopoli. Non si ravvisa diffamazione

L’interesse pubblico ad essere informati è un bene della collettività da tutelare, anche in sede giurisdizionale. A sottolinearlo è il giudice Antonio Tufano del tribunale civile di Nola, in alcuni passaggi della sentenza che vede soccombere Napoli Sociale, partecipata comunale in liquidazione. Ritenendo lesa la propria reputazione, la società aveva chiesto un risarcimento danni per quattro articoli di 9 anni fa, pubblicati su Cronache di Napoli. Ma il giudice, con decisione pubblicata il 23 luglio, ha rigettato le richieste. Tra gli altri, la partecipata aveva citato in giudizio l’autore degli articoli Ciro Crescentini (assistito dall’avvocato Federica Bonadies), il consigliere comunale Diego Venanzoni (rappresentato dal legale Vincenzo Corrado), l’ex assessore Riccardo Realfonzo (difeso difeso da Felice Ciruzzi e Francesco Magione), e i giornalisti Domenico Palmiero (direttore responsabile) e Pino De Martino. In un articolo del 18 agosto 2010 veniva citato il presunto “scandalo assunzioni”.

 

“Data la natura pubblica delle società cooperative coinvolte nello scandalo delle assunzioni – si legge-, e stante l’esistenza, all’epoca dei fatti di causa, di un’indagine delle procura, appare sicuramente rispettato il requisito della pertinenza, nonché, vista la correttezza e adeguatezza delle espressioni contenute nell’articolo, il requisito della continenza”. Lo scritto, quindi, non viene giudicato diffamatorio. Ma la vicenda è solo all’inizio. Infatti, in un successivo articolo del 26 agosto 2010, si “denuncia l’esistenza di assunzioni effettuate in favore di parenti di sindacalisti, politici e dirigenti”. “Con particolare riguardo alla società attrice – scrive il giudice-, dà atto dell’assunzione di Maria Rosaria Longobardi (figlia di Amalia Murolo, coordinatrice del Consorzio Greco), Marina Migliaccio (nuora del segretario regionale del sindacato Uil, Antonio Borriello), Maurizio Ponticelli (soggetto molto vicino al partito Sinistra e Libertà), quali coordinatori, e Dario Bello, marito di Serena Sorrentino, neosegretario nazionale della Cgil”. Tuttavia, “anche l’articolo in oggetto non contiene contenuti diffamatori”. Il giudice Tufano motiva così la decisione. “Nella prima parte vi sono, in effetti, alcuni passaggi potenzialmente lesivi della reputazione di Napoli Sociale, laddove – afferma la sentenza – vengono fatti riferimenti alla “casta”, alla “vera e propria parentopoli”, alla esistenza di veri e propri “affari di famiglia”, ed alla violazione delle “leggi vigenti che prevedono bandi di evidenza pubblica, pubblicità e indicazione dei criteri””.

 

Per il magistrato “si tratta indubbiamente di dichiarazioni forti, che tuttavia non hanno l’intento di aggredire moralmente la società attrice, o di denigrarla in modo gratuito ed offensivo”. Le affermazioni, “pur potenzialmente suggestive, non sono tali, di per sé, da recare un’affermazione compiuta ed inequivocabile della vicenda, in quanto anche se contengono un forte riferimento alla vicenda, i toni risultano significativamente attenuati, se non del tutto neutralizzati, dalla lettura dell’intero articolo”. Insomma, si tratta di “una rappresentazione, seppur vivace, di una realtà che in parte è emersa anche da documenti che hanno determinato l’inizio di un procedimento penale, in parte riportato dal convenuto Crescentini all’interno dei suoi articoli”. E comunque, “risulta (più che) evidente l’interesse pubblico rispetto all’articolo ed alle informazioni in esso contenute”.

 

Nel terzo articolo, pubblicato il 27 agosto 2010, “si dà atto dell’inizio delle indagini da parte della magistratura”, e si ribadisce che quelle “assunzioni effettuate in Napoli Sociale”  erano “senza il previo espletamento di concorsi”. Inoltre si ipotizza “l’assunzione di nuovi lavoratori nella predetta società, provenienti da altre partecipate (Icaro e Gesco), alla vigilia della tornata elettorale”. Ma anche qui “non emerge alcun contenuto diffamatorio”. “A parere di questo Giudice il giornalista – si argomenta – ha correttamente esercitato il diritto di cronaca, riportando informazioni inerenti le indagini giudiziarie in atto e ribadendo un dato oggettivo, ovvero l’assunzione in Napoli Sociale senza il rispetto della procedura di evidenza pubblica: circostanza non smentita nel corso di questo giudizio”. In altre parole, “traspare l’intento di informare, più che di denigrare”.

Allo stesso tempo, non riveste contenuto diffamatorio anche l’articolo del 28 agosto 2010. “In esso riporta la sentenza – il giornalista Crescentini evidenzia le evoluzioni delle indagini della magistratura, con potenziali ulteriori esposti pervenuti in procura”. E “le notizie risultano riportate in modo corretto, senza assumere toni oltraggiosi e offensivi”.

La pronuncia, oltre a dichiarare la contumacia di De Martino e Palmiero, non costituiti in giudizio, dichiara estinto il giudizio tra Napoli Sociale e Venanzoni, e ne compensa le spese di giudizio. Condanna la partecipata a pagare le spese di lite in favore di Crescentini, Realfonzo e della Libra Editrice (difesa dall’avvocato Barbara Taglialatela), che edita Cronache di Napoli.

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