Riceviamo e volentieri pubblichiamo integralmente una nota di Antonio Sparano ricercatore universitario della Uba, Universidad de Buenos Aires
Siamo proprio sicuri che dietro la bocciatura della legge di stabilità del governo italiano da parte di Bruxelles ci sia solo un asettico calcolo di bilancio e non una posizione ideologica? E cosa potrebbe fare la sinistra italiana per uscire da questa situazione conflittuale?
Voltaire diceva che ci sono uomini che usano le parole all’unico scopo di nascondere i loro pensieri; volendo attualizzare le parole del filosofo illuminista francese ci si potrebbe chiedere se, oggi, non siano gli organismi politici ed economici transnazionali ad agire in questo modo? Come nel caso della Commissione Europea, che proprio in questi giorni è stata al centro delle cronache politiche per il suo giudizio negativo verso la legge di bilancio avanzata dal governo italiano. Apparentemente, le parole del suo Vicepresidente prima, Valdis Dombrovskis, e del suo Commissario agli affari economici poi, Pierre Moscovici, risultano chiare ed immuni a qualsiasi dietrologia; da esse si evince infatti che la manovra del governo giallo-verde è stata respinta perché, da un punto di vista strettamente economico, andrebbe ad ingrossare il già alto debito pubblico italiano. Ma siamo veramente sicuri che si tratti di una mera questione numerica?
Non sono mai ricorso a tesi “complottiste”, e non è mia intenzione farlo adesso, non fosse altro perché ho sempre considerato il cosiddetto complottismo una sorta di delirio di massa, uno dei tanti di cui soffre la società odierna; semplicemente, mi rifaccio alle altre parole, sicuramente più pesanti, pronunciate da Moscovici sempre in quella occasione, ma che a molti, incluso gli analisti politici, sembrano essere sfuggite. Nella conferenza stampa di lunedì 23 ottobre, oltre ad annunciare la decisione di Bruxelles di respingere il Documento programmatico di bilancio del governo italiano a causa dello sforamento eccessivo degli rapporto deficit/PIL, e chiederne la riscrittura entro tre settimane, Moscovici ha anche lasciato intendere che, in realtà, ciò che li preoccupa della manovra italiana sono soprattutto le politiche di lotta alla povertà, più precisamente: il reddito di cittadinanza e la controriforma delle pensioni (la famosa quota cento). Giusto per intenderci: le critiche principali della Commissione non riguarderebbero solo o principalmente quei provvedimenti che accentuerebbero le disuguaglianze sociali, come la flax tax fortemente voluta dalla Lega, o eticamente deleteri, come la cosiddetta “pace fiscale” (in realtà, un condono in piena regola), ma sono rivolte soprattutto a quegli interventi che mirerebbero a risollevare economicamente tutta quella parte di popolazione italiana, formata da piccoli artigiani, operai, disoccupati giovani e non, pensionati, ecc., fortemente penalizzata da più di dieci anni di austerità, e che molti economisti, non solo di sinistra, come ad esempio Ashoka Mody (ex membro, tra l’altro, del FMI) reputano oramai irrinunciabili se si vuole evitare che in Italia scoppi un conflitto sociale come nei paesi latinoamericani. Sia chiaro, qui non si sta dicendo che a Bruxelles siano più favorevoli ad un condono fiscale: è noto, infatti, che questo tipo di provvedimenti è considerato dalla gran parte dei membri della UE come un’anomalia tutta italiana; né intendo affermare, tanto meno, che preferiscono una misura come la flax tax, perché in contraddizione con le politiche di controllo del debito imposte da Bruxelles: in un paese con il secondo debito pubblico più grande d’Europa, qual è appunto l’Italia, per anni educato a considerare le tasse come il “male assoluto”, non ci si può permettere di ridurre le imposte, dal momento che l’equazione (leghista): tasse più basse per tutti = meno evasione e, quindi, più entrate, apparirebbe più come un debole auspicio, che una condizione veramente realizzabile. E come si sa: in economia, non ci si può affidare solo alla speranza.
Perché, allora, la Commissione Europea guarda con così particolare astio al reddito di cittadinanza e alla controriforma delle pensioni? La mia opinione è che dietro la bocciatura della manovra italiana non si celi soltanto il richiamo al vincolo di bilancio, ma anche posizione ideologica. Quando si afferma che la Commissione Europea è un organismo neutrale o super partes, si dice un’enorme falsità: è infatti espressione della maggioranza espressa nel Parlamento Europeo, ovvero, in questa legislatura, della grande coalizione composta da popolari e socialisti. Questa maggioranza, incluso la sua parte progressista, ha fatto proprie, da anni, politiche liberiste a difesa dei grandi capitali, soprattutto finanziari, dimenticando quasi del tutto i ceti medi e quelli più poveri, vale a dire: quelli che più hanno sofferto le politiche di austerity di questi anni. Detto ciò, che cosa dovrebbe fare l’Italia per sfuggire alla trappola di Bruxelles?
A mio parere, dovrebbe fare ciò che sta programmando il governo socialista di Madrid; ma per fare ciò è necessario che LeU e, soprattutto, il PD abbandonino la poltrona e i popcorn, ossia escano dal limbo nel quale si sono abbandonati dopo il 4 marzo e convincano il M5S a rompere l’alleanza con la Lega. La cosiddetta “sinistra” italiana dovrebbe, cioè, fare la Sinistra. In questo momento critico per il Paese dovrebbe mostrare senso di responsabilità e fare ciò che Podemos ha fatto con il Partito Socialista Spagnolo: dovrebbe appoggiare quelle proposte del programma dei 5Stelle più vicine alla sua cultura, liberando così Di Maio e company, e gli Italiani, dall’abbraccio mortale di Salvini.
Dopo il 4 marzo il PD, a causa dell’ego della sua leadership, in particolare del boy scout fiorentino (alias Matteo Renzi), ha gettato al vento la possibilità di rimediare a 5 anni di politiche liberali. Non era necessario formare un governo con i Grillini: bastava concordare un programma popolare, favorevole ai ceti più disagiati, e garantire il proprio appoggio esterno, proprio come sta facendo in Spagna il partito guidato da Pablo Iglesias con il governo socialista.
Purtroppo Renzi e la maggioranza del suo partito si sono mostrati ancora una volta arroganti e ciechi, gettando alle ortiche la possibilità di rimediare in parte agli errori fatti quando erano al governo (due su tutti: il job act e la buona scuola), e aprendo così la strada al governo giallo-verde, ossia ad un governo fortemente di destra.
Ma proprio lo scontro, apertosi in questi giorni, tra il Governo Italiano e la Commissione Europea sembrerebbe offrire un’altra possibilità al PD. Sarebbe opportuno che i suoi dirigenti la cogliessero a volo, invece di giocare a fare cineasti alla Leopolda: servirebbe a ridare credibilità ad una sinistra che, diciamocelo francamente, dalle tornate elettorali, succedutesi in questi ultimi otto mesi, è uscita a pezzi. Questo sarebbe il momento opportuno per riprendere il dialogo con il Movimento, per chiedergli di rompere l’alleanza con la Lega, assicurandogli l’appoggio esterno per un governo tutto grillino. Il PD, infatti, dovrebbe rinunciare a qualsiasi poltrona (sarebbe un bel bagno di umiltà, che molti attendono da tempo), e pretendere soltanto che si attui un programma veramente progressista: una riforma del lavoro che superi il job act, ossia che tuteli veramente i lavoratori e che includa una riorganizzazione seria dei centri per l’impiego e, ovviamente, il reddito di cittadinanza; una riforma giusta delle pensioni, che tenga conto delle differenze tra le categorie (il lavoro di un metalmeccanico, dal punto di vista dello sforzo psicofisico, non può essere equiparato a quello di un impiegato); una riforma coscienziosa della scuola e dell’università che rimetta al centro dei propri obiettivi la formazione e la cultura e non i tagli alle spese; una politica ambientale fondata sulla prevenzione e sugli investimenti in energie rinnovabili: a causa dell’inquinamento il clima sta cambiando molto velocemente, e l’Italia, anche in questi giorni, sta provando sulla propria pelle i suoi effetti devastanti; è il momento di prenderne veramente coscienza del problema e provare a rimediare.
Sicuramente più di un lettore si starà chiedendo: si, ma come finanziare un tale programma senza incorrere in un ennesimo giudizio negativo della Commissione Europea? Chiaro, la soluzione non è semplice; ma credo che nemmeno si debba pensare che programmi marcatamente di sinistra, oggi, non siano più attuabili, perché si finirebbe col dare ragione a Bruxelles e alle sue politiche liberali travestite da “austerità”. Non possiamo rassegnarci a queste politiche che non fanno che aumentare le disuguaglianze e i conflitti sociali: è in gioco il futuro dell’intera Europa. Del resto, una soluzione fattibile sarebbe quella di attuare una politica fiscale del tutto opposta a quella proposta dall’attuale governo, ovvero: non alla flax tax, si ad un aumento delle imposte per i ceti più ricchi, magari imponendo una patrimoniale (esiste anche in Svizzera, che non mi sembra sia mai stata una delle repubbliche dell’ ex Unione Sovietica); non a condoni fiscali, ma lotta serrata all’evasione fiscale, magari aumentando controllori e controlli. Come si può vedere non vi è nulla di inattuabile o utopico in una manovra di questo tipo; tra l’altro, si tratterebbe di provvedimenti molto simili a quelli proposti dal governo socialista spagnolo per coprire la sua legge di bilancio di stampo (questa, sì!) veramente progressista e popolare.
Ma, ahimè, se c’è una cosa che ho imparato in tanti anni di militanza e di studi, è che non c’è anomalia più grande nella storia politica europea e mondiale della “sinistra” italiana: quest’ultima, da almeno 20 anni, preferisce le lotte intestine alla costruzione di un progetto politico realmente credibile; ma, soprattutto, ha la costante “abilità” di non sfruttare le occasioni favorevoli che la storia le offre. Altro che “Ritorno al futuro”: la “sinistra” italiana, direbbe Freud, è un caso patologico, un esempio tipico di “coazione a ripetere” i propri errori/orrori. Dunque, non mi faccio illusioni: lo scontro con Bruxelles sarà considerato dai lungimiranti, carismatici e simpaticissimi leaders del PD come il solito film da guardare seduti comodamente in poltrona, magari sgranocchiando qualche popcorn, e non come un opportunità di riscatto delle forze di sinistra. Per cui, a questa fallimentare classe dirigente, non mi resta che dire: buona visione, “compagni”!
Antonio Sparano
Ricercatore Universitario della UBA
Universidad de Buenos Aires