Nell’inchiesta coinvolto anche il commercialista Alessandro Gelormini presidente del consorzio che si occupa del trasporto dei rifiuti solidi urbani dell’isola d’Ischia
Anche l’imprenditore-armatore ischitano Nicola D’Abundo è coinvolto nella maxi inchiesta che ha portato al sequestro del Maschio del Castello Aragonese (di proprietà di D’Abundo) in una frode fiscale dal valore di 40 milioni di euro. Per il D’Abundo sono scattati gli arresti dominciliari. Analoga misura è stata adottata nei confronti del noto commercialista Alessandro Gelormini, presidente del COTRASIR (il consorzio che si occupa del trasporto dei rifiuti solidi urbani in terraferma dall’isola) e altri due imprenditori. Nell’operazione, sono coinvolti anche due finanzieri corrotti. L’azione delle fiamme gialle, oltre all’applicazione delle misure cautelari, ha portato al sequestro di beni per 40 milioni di euro a carico di 7 società. Tra i beni sotto sequestro, come detto, una parte del Castello Aragonese di Ischia (il Maschio), una villa di lusso a Capri e proprietà immobiliari tra Napoli e Roma Gli arresti con il beneficio dei domiciliari sono stati decisi dal GIP del tribunale di Napoli Nord che accusa gli imputati di bancarotta ed evasione fiscale. In corso di esecuzione anche provvedimenti restrittivi nei confronti di due finanzieri per corruzione. L’indagine della polizia giudiziaria della procura di Napoli Nord ha al centro un sistema creato dal commercialista che avrebbe fatto sì che i suoi clienti, attraverso artifici contabili di vario genere, svuotassero del patrimonio le loro aziende insolventi prima di dichiarare fallimento. Proprio il commercialista, quando i due finanzieri indagati hanno effettuato un controllo in una delle sue società clienti, li avrebbe pagati per alterare il contenuto di un verbale in modo da evitare la denuncia penale agli amministratori della ditta. I due militari delle Fiamme Gialle in servizio a Napoli sono accusati di aver intascato una tangente da 4 mila euro da Gelormini. Inoltre, il professionista ha tenuto per sè una parte di questo denaro, frodando anche il titolare dell’azienda. L’intera indagine si ricollega ad un’inchiesta che aveva visto come protagonista un giudice della sezione fallimentare del tribunale di Napoli Nord e poi di quello di Santa Maria Capua Vetere.