Il menù tarallo sul mare, anche se abusivo, anche se con taralli di contrabbando ha rappresentato una identità di Popolo
Mentre la borghesia vesuviana sognava l’impiccagione di Luigi de Magistris per aver chiuso il Lungomare, gli acquafrescai tentavano di reiventarsi un lavoro. Non più il drive in cupo di sempre, ma l’anelito alla meditazione e ad una nuova socialità. Il mare bagnava Napoli, finalmente, e dal “deserto” auspicato dai borghesi, si è lentamente costruita la Napoli del turismo. Il riscatto di Napoli, anche se i giornali lo hanno dimenticato per favorire gli interessi forti, parte da lì: dal menù tarallo sul Lungomare che ha dato a molti emigranti come me un’immagine di Napoli nuova, autentica ma vivibile.
I fenomeni spontanei devono, in qualche modo, essere indirizzati ma mai criminalizzati e l’assenza di riconoscenza verso la miccia che ha trasformato Napoli da luogo nero e dimenticato a città con un flusso di turisti impressionante, fa pensare. Come se, bruciato ogni record anche grazia alla spontaneità di certe iniziative, si debba passare la palla ai poteri forti, ai Briatore, per rendere il business del turismo appannaggio esclusivo delle classi dominanti. Le stesse, però, che lo hanno ostacolato con ogni mezzo, tranne poi volerlo cannibalizzare una volta esploso. Non entro, per mia totale ignoranza, nei meandri burocratici che vedono contrapposto Il Comune di Napoli e i chioschi del Lungomare, la loro spaventosa chiusura totale, però mi stupisce che nessun pensatore circumvesuviano abbia un briciolo di riconoscenza verso coloro che, bene o male, hanno rilanciato l’immagine della città in tutto il mondo. Tanto zelo burocratico, ad esempio, non viene mostrato verso gli stabilimenti balneari italici.
Il menù tarallo sul mare, anche se abusivo, anche se con taralli di contrabbando ha rappresentato una identità di Popolo che, ancora non triturata dai cliché del cuoppo fritto, usciva dal suo fetente destino di venditori di calzini e si inventava qualcosa di nuovo, di diverso dal solito traffico ambiguo, dove lecito/illecito diventano la stessa cosa. Ed è proprio in questo passaggio che si nasconde tutta l’eredità feudale delle nostre aristocrazie spente: mandare avanti i pezzenti, come scudi umani, per poi criminalizzare ogni tentativo di riscatto sociale definitivo.
Il Lungomare è, grazie agli acquafrescai, diventato business magico e coloro che hanno contribuito a questo si devono criminalizzare, depotenziare, fare da parte: ridurre nuovamente a schiavi, per dare ogni prebenda ai poteri che da sempre e per sempre saccheggiano la città. Così il turismo è diventata l’ennesima fregatura per tutti noi, dove ogni potenzialità viene cannibalizzata dalla classe dirigente, in un simbolo cristallino del capitalismo di rapina. l collasso totale della città causato della loro avarizia lascerà un deserto non solo economico, ma identitario e umano. Un’invivibilità dove, tra carcasse di topi morti e baby gang, sarà la stessa natura vampiresca delle nostre élite a decretare anche la fine del turismo stesso. Ieri a Via Toledo è caduta la moglie di un mio amico, ma episodi del genere sono centinaia al giorno e nessuno interviene per sistemare un dissesto imbarazzante del selciato. Così come la recrudescenza dei fenomeni di micro crimine, quanto quelli dei morti ammazzati renderà il cielo sempre meno azzurro. L’incapacità, anche solo intellettuale, di identificare meccanismi atti a proteggere la vivibilità e la convivenza pacifica, causeranno l’inevitabile collasso finale.
Lo spettro della Napoli anni ‘80 si avvicina: basta qualche morto eccellente e, come il tamtam di una città risorta ci ha inondato di turisti, la paura e l’incuria li porterà altrove. Napoli vedeva nella sua unica potenzialità di riscrivere il proprio destino, quello di accettarlo e l’arte di arrangiarsi è materia da affrontare senza il grigiore insito nelle burocrazie. Del resto, a pensar male, la situazione di Piazza del Plebiscito con la sua oltre cinquantennale spettralità è data proprio dall’assenza di micro iniziative commerciali atte a far partire socialmente quel luogo. Sono millenni che si susseguono progetti di bontà calati dall’alto che, di fatto, rendono immobile quel buco nero della città. Iniziative di carta e sulla carta che, dopo essere decantate dai nostri giornali, sulla carta restano. È l’iniziativa anarchica degli acquafrescai che, invece, ha impedito al Lungomare di diventare quel deserto tanto auspicato dai nostri eroi che, con la loro ossessione per il SUV e per il BOX auto, hanno scoperto tardi il potenziale di quel luogo e, adesso, vogliono passare all’incasso.
Abusivismo e spontaneità sono, da secoli, l’unico rimedio alla fame nera per un pezzo di Napoli. Uomini che si alzano la mattina e ricominciano la vita da zero, senza contare su nulla che non sia altro che la loro nobile inventiva: quella che ha stregato Goethe, ma che incute terrore nei nostri baroni del nulla.
Luca Musella