La Venere mozzata: la realtà. Una riflessione di Luca Musella

Nelle carceri italiane circa la metà dei detenuti è dentro per droga o per reati ad essa connessa e su questi moltissimi soffrono di patologie psichiatriche.

Mezzo milione di morti all’anno di overdose. Ma, oltre a queste morti certificate, un numero imprecisato di vittime causate da “effetti collaterali” all’uso di droghe. Milioni di invalidi, minati nel corpo in modo irreversibile e, spesso, sprofondati nel marasma delle allucinazioni e dei disturbi psichiatrici. Reati senza movente, omicidi casuali e paesaggi ulcerati dal dolore. Un dato: nelle carceri italiane circa la metà dei detenuti è dentro per droga o per reati ad essa connessa e su questi moltissimi soffrono di patologie psichiatriche. Eppure la questione droga è scivolata nei nostri giornali nel dimenticatoio: giusto qualche rubrica snob pro o contro la liberalizzazione. La destra fascioleghista ne fa un problema di sicurezza: trattando però il fenomeno con parametri e ricette di un millennio fa. La sinistra rosa confetto oscilla tra dinamiche ambigue di garantismo e lassismo, nascondendo il tritatutto delle loro stabilità economiche, che hanno dissanguato il Servizio Sanitario e il Welfare. La sinistra antagonista, poi, tra la difesa degli orsi e quella delle canne light è presa dalle astratte convulsioni della sua perenne ricerca di una poltroncina al sole. Appiattendosi compulsivamente su emergenze gonfiate dai sinistri o, ancora, sulla critica della ragione agli zigomi rifatti della Meloni. Purtroppo anche i giovani, le meravigliose esperienze di molti centri sociali, sono ostaggi di anarchismo infantile, che vede nei fenomeni dello sballo esercizi di volontà. In realtà ogni volontà, anche quella di farsi, si basa sulla conoscenza: il mondo delle droghe chimiche è oscuro, con la sua perenne evoluzione, che vede la scoperta di una nuova miscela a settimana di cui nessuno, però, conosce effetti collaterali. Assumere queste sostanze, quindi, è negazione assoluta di volontà proprio perché si assumono cocktail misteriosi e i cui effetti, oltre a poterti portare al creatore, possono mandare in tilt ogni cellula cerebrale. Non si sceglie quindi di correre questi rischi, proprio perché non conosciuti. Lo sviluppo di patologie da “Doppia Diagnosi”, di tossico e di disturbato, è fenomeno di massa e vede nella incapacità, persino medica, di curare contemporaneamente questi due mali un unicum nuovo che cronicizza e rende inermi, proprio perché ogni esercizio di volontà si basa su una lucidità possibile, comunicabile e la perdita di ogni controllo intellettuale sui se stessi è il contrario della libertà, intesa come necessità, come potenzialità al sogno, ma anche come possibilità concreta ad essere quello che si vuole essere.

Ma quello che non si dice, che non si può dire, è che nei fenomeni delle marginalità e delle alienazioni croniche della contemporaneità il connubio povertà/dipendenza è una spirale perversa che si avvita su sé stessa. Povertà/Dipendenza/Disturbo psichiatrico che si intersecano nel devastare queste esistenze e quelle di chi gli transita accanto. Fenomeni, quindi, contagiosi che trascinano in un degrado sempre più sordo non solo il tossico, ma la sua famiglia, la sua socialità e persino interi pezzi di territorio. Nei luoghi dell’abbandono è la droga che devasta il paesaggio e rende pericoloso ogni traversa, ogni bar, ogni rapporto umano. Un veleno mortale ma anche progressivo nel trasformare tutte gli sguardi che incontra.  Ai fenomeni criminali legati al mondo dello spaccio, si unisce il lassismo di molte strutture che dovrebbero ostacolarlo, che vedono nella miracolosa funzione dello psico farmaco, unico rimedio possibile. Così si esce da una dipendenza illegale e si entra in una legale, poi si sommano e sovrappongono le due dipendenze, poi si torna nell’illegale, poi si cade nuovamente nella camicia di forza chimica, in un eterno scivolare nel nulla: sabbie mobili che inghiottono nel nostro silenzio milioni di giovani in un lento massacro, dal quale non usciranno mai più. Lo stesso concetto di recupero diventa un eterno pronti via, in cui si è sempre a zero, ma sempre più devastati nell’anima e nel corpo. Il metadone, dato qualche settimana per alleviare l’astinenza è una cosa, ma dato per decenni e sovrapposto ad altri psico farmaci e alle sostanze è altra cosa: morti che camminano.  Il proibizionismo, quanto l’anti proibizionismo non fanno i conti con questa oscillazione né, tantomeno, con i meccanismi culturali che spingono i giovani al rito dello sballo.  Un vuoto dell’anima che cozza con il sottovuoto della società del consumo: colmato con la pura ossessione della performance.

A volte mi domando se l’ideologia viene prima della realtà? Una persona senza capelli è calva? Oltre il fatto che abbia avuto o possa avere i capelli. È calva? O No? Possiamo, come collettività, continuare ad interrogarci sui colori di chiome che non esistono? Il dibattito in Italia troppo spesso scivola su punti di partenza ideologici, che sacrificano la realtà in base alla difesa delle proprie posizioni. È chiaro, ad esempio, che l’avvento della chimica nelle sostanze stupefacenti ha completamente modificato il mondo dello sballo, trascinandolo in una potenzialità psichiatrica sempre maggiore. Così come è scientificamente inconfutabile che la storica differenza tra droghe leggere e quelle pesanti è superata con i principi attivi attuali e con le metodologie super individualistiche della somministrazione nei ragazzi. Eppure non ne parliamo, perché metterebbe in discussione gli assiomi che ci tramandiamo da altre droghe e da altre epoche. È chiaro che, senza una trasformazione totale del tossico chimico, l’alternanza sballo illegale/psicofarmaco crea una condizione nella quale si rimane fatti a vita: si entra ed esce da carcere/comunità/nuovi manicomi/case famiglia ecc.ecc. senza sviluppare una consapevolezza del proprio male e una strategia che vada oltre alla chimica contenitiva per affrontarlo. 

Lo stesso nobile concetto di “riduzione del danno”, se riferito all’uso delle droghe classiche può avere un senso, ma quando interviene nell’oscillazione psicofarmaco/droga chimica, con il conseguente oblio della mente del tossico, riduce l’Uomo a straccio, a corpo inerme e senza volontà. Ogni recupero e in ogni ambito si basa su una volontà: ma quando questa è minata dagli alieni generati del cervello diventa altro sogno nevrotico, privo di fattibilità, quanto di senso. Mentre l’effetto della droga classica prevedeva stati mentali alternati, dove ad un oblio seguiva una lucidità, quindi una potenzialità di scelta; la droga chimica abbinata allo psicofarmaco prevede solo una acida alterazione perenne: un ergastolo del cervello.

Eppure non si può dire, non si può pensare, perché una realtà come questa cozza con tutte le ideologie spendibili, sia nei salotti snob rosé che in nelle tavernette pacchiane dei fascioleghisti. Ma, ed è duro ammetterlo, diventa terreno minato anche nei residuali partiti diversamente comunisti che non possono o non vogliono affrontare questi temi, proprio per il terrore di perdere quello zerovirgola di consenso del famose na canna. I familiari, stretti nella morsa dello stigma e del senso di colpa, vengono devastati dal superficiale giudizio della collettività, degli operatori che tendono a delegare al familiare ruoli sanitari e/o carcerari impraticabili e pericolosi. Se una famiglia ha la sfortuna di avere un figlio che contrae una malattia vede nel solo dolore il proprio calvario. Quando la malattia, invece, è quella della follia si diventa in qualche modo complici, cause, carnefici: una oscillazione di senso che vede nella ferocia del pettegolezzo una condanna doppia, di dolore e di scuorno. Ma, anche in questo il fenomeno, le ideologie diventano cancro collettivo: il disservizio e il vuoto dello Stato ricadono sulle famiglie che, oltre a collassare su sé stesse, vengono criminalizzate pubblicamente perché non riescono a contenere follie e devastazioni che neanche gli apparati pubblici riescono a depotenziare. Ma non si può dire, non si può pensare, perché si passa per nemici della Legge 180 o, peggio, per bacchettoni. Così tra vergogna e dolore anche il familiare entra nella cronicità di una alienazione permanente, striscia sui muri attento a non calpestare la propria ombra: uno zombie che non ha neanche l’ausilio di una tenerezza possibile.

(Luca Musella)

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